To the Depths We Descend…, il canto del cigno dei NECROMANTIA

Ho tirato su la pagliuzza più corta e quindi purtroppo tocca a me scrivere l’epitaffio dei Necromantia, e mentirei se vi dicessi che ne sono lieto, fiero, o chissà che altro. È da quando il bassista storico Baron Blood è improvvisamente mancato per infarto, due anni fa, che tutti nel giro del black metal sospettano che i Necromantia siano morti con lui: ci sarebbe stato solo un nuovo disco postumo a lui dedicato prima di spegnere la fiamma della candela per sempre e consegnare definitivamente alla storia il nome di una band che è impossibile non definire leggendaria.

Non sono lieto di scrivere queste righe perché altrove ho scritto che per me parlare male dei Necromantia sarebbe come insultare mio padre, quindi cercherò di essere il più impersonale possibile. To the Depths We Descend… è il sesto full-lenght per la band che iniziò ad esistere addirittura nel 1989, una vita fa. Io non so nemmeno se considerarlo un full-lenght, per amore di onestà. Degli otto pezzi, due sono versioni modernizzate di due pezzi leggendari: Lord of the Abyss, che compare nella sua veste migliore nello split con i Varathron del 1992, e The Warlock che risale al debut Crossing the Fiery Path (1993). Queste due versioni sembrano cover fatte da giovincelli che s’ispirano ai Necromantia per un disco tributo, non sembrano per nulla loro medesimi a suonarle. Mi chiedo a cosa serva suonarsi delle auto-cover e mi rispondo che, per raggiungere la lunghezza di un full, qualcosa nel disco bisognava ben metterci.

Ci sono invece due brani strumentali, la title track e Give the Devil his Due, che al primo ascolto mi hanno dato l’impressione di essere dei riempitivi ed è un’impressione che non riesco a levarmi da dosso anche agli ascolti successivi. Ci sono, non sono né belli né brutti, sono lì e tanto vale. Demonocentric e Inferno sono due dei quattro brani inediti effettivamente tali che però del classico suono Necromantia hanno poco, sembrano più un tentativo (decisamente più che tardivo) di suonare il loro black metal incentrando le composizioni sulla chitarra e non sul basso come hanno sempre fatto, tentando di evolvere il suono fuori tempo massimo, chiudendo la stalla molto dopo che sono usciti tutti i buoi. Li avessero sperimentati dieci anni fa avremmo potuto pensare ad un tentativo di modernizzare il loro suono, ma oggi a cosa servono dato che è stato ripetuto fino allo sfinimento che i Necromantia non esisteranno più?

Così alla fine ci sono due pezzi che si salvano davvero, e che mi fanno rammaricare della scelta di pubblicare un full album anziché un EP celebrativo come in origine era stato pianificato: And the Shadows Wept…, un brano davvero bello, maligno e dal testo toccante come doverosamente dev’essere quando saluti un compagno di viaggio che è stato accanto a te per tutta una vita di blasfemie, ed è il pezzo dedicato alla memoria di Baron Blood; e poi la veloce ed aggressiva Eldritch, uno dei brani più cattivi che la band abbia mai inciso, potente e squassante, questa sì ispirata come i loro pezzi migliori dei gloriosi tempi andati.

Se penso che il full precedente The Sound of Lucifer Storming Heaven risale addirittura al 2007, che gli ultimi loro pezzi originali sono quelli dello split con gli Acherontas dell’anno successivo e che nei dieci anni prima che Baron Blood ci lasciasse – decretando di fatto già allora lo scioglimento anche se non c’è stato dato modo di saperlo concretamente fino a tempi recenti – a nome Necromantia sono usciti solo dischi antologici tipo compilation, boxed set e un 7’ con i Rotting Christ che però contiene solo due cover di brani non loro, mi viene da pensare banalmente che in effetti la band oramai era già stata accantonata da tempo. Magus Wampyr Daoloth adesso ha gli Yoth Iria e ancora i Thou Art Lord, i due tipi che lo accompagnano agli strumenti in To the Depths We Descend… sono personaggi che hanno i loro progetti e con i Necromantia non hanno radici storiche da condividere. Tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente, quando i Judas Iscariot hanno salutato la compagnia e chiuso la baracca pubblicarono un sette pollici limitato a 1500 copie con due brani, e stop, finita, morta lì. È quello che avrebbero dovuto fare anche i Necromantia: sarebbe bastato un 7 pollici con i due brani migliori di questo lungo addio, o volendo esagerare un 10 pollici con le quattro canzoni vere incluse in To the Depths We Descend…, ma se devo essere sincero sarebbero già state troppe.

Con tutto il rispetto e la venerazione che io ho avuto in tempi passati per questa entità, una delle band storiche che il black metal hanno contribuito a crearlo, io non mi sento di consigliare l’acquisto del disco. È qualcosa che deve decidere ogni fan, a seconda di quanto ha amato la musica del gruppo. Sicuro non aggiunge nulla alla loro discografia, se non rappresentasse quello che rappresenta probabilmente si sarebbe beccato stroncature pesanti in quanto prodotto marginale, privo di effettivo appeal tanto da giustificare un investimento in denaro pur di possederne una copia. Io piuttosto consiglio: se non li conoscete cercate i dischi vecchi, alfieri di un black metal oscuro, malvagio, occulto e satanico come si deve. To the Depths We Descend… è solo un’epigrafe, un canto del cigno, l’omaggio a un amico prematuramente dipartito, la fine di una storia leggendaria e come tale va preso. Sfortunatamente non è venuto granché bene. (Griffar)

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