NWOBHM a cento all’ora: il metallarissimo debutto dei MAULE

Il fatto che i Maule assomiglino agli Iron Maiden o a qualche altro baluardo della NWOBHM è per me del tutto irrilevante. Di fronte a fatti statistici come questi, che sono all’ordine del giorno qualora si abbia l’intenzione di cimentarsi con l’ascolto di giovani band, non faccio più caso alla frequente somiglianza fra le sonorità riproposte oggi e quelle di quattro decenni fa. L’unica cosa che per me conta è che il disco sia bello, per cui, se appartenete a quella setta di cospiratori per i quali il metal dovrebbe evolversi verso una sommatoria matematica simile a world music + bossanova + Mahmood – autotune + un pizzico di riff thrash ma non troppo altrimenti è da metallari, bene: astenetevi. Perché questo album non farà per voi. Vi ricorderà gli Iron Maiden con l’inspiegabile aggiunta dello speed metal, vi darà fastidio. Vi darà prurito dappertutto e in un batter d’occhio sarete su Google a cercare la crema più adatta a curarlo.

Questo è un disco da metallari. Va velocissimo, è prodotto alla vecchia maniera ed è visionato dalle sapienti menti della tradizionalissima Gates of Hell Records, che, a parer mio, è solita dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma quando ci azzecca ci azzecca perbene. È un’etichetta sì tradizionale ma a suo modo piuttosto variegata in termini di proposta, avendoci presentato modeste scariche di piacenti personalità alternate a grossolani personaggi: da un lato i Chevalier, finlandesi, dall’altro gli americanissimi Solicitor. A tal proposito, dovreste aprire una foto a caso di codesti Solicitor e godere di quel soggetto assurdo che è Amy Lee Carlson, ossia la loro cantante. Chiusa parentesi, ritorniamo ai Maule.

Dicevo che hanno un cantante che è anche chitarrista ritmico, poiché a tracolla tiene questo chitarrone bianco alla Hetfield primi anni; quello che ha rispolverato ultimamente per fare il paraculo, per intenderci. Iron Maiden più chitarrone bianco di Hetfield parrebbe un binomio fuorviante, ma questi canadesi, e io impazzisco per le band canadesi, davvero abbinano lo speed americano vecchia scuola alle sonorità anglosassoni della prima metà degli anni Ottanta. E come ho detto poc’anzi vanno quasi sempre a tavoletta.

I fuoriclasse di turno sono Danny Gottardo alla solista, non un autentico mostro dello strumento bensì il classico chitarrista capace di stamparti gli assoli in testa al primo colpo, e John Maule, il bassista. Il primo dei due pare sia già stato rimpiazzato da Justin Walker, in una sorta di “registra e scappa” degno dei migliori turnisti. L’altro, come accade nella Vergine di Ferro, è un po’ il padrone di casa e a screditare ogni dubbio ci pensa l’anagrafe. Il suo soprannome, d’altro canto, è King of Bones, e piuttosto che in direzione della NWOBHM va a parare come minimo dalle parti di Brazzers. Poi c’è il cantante, Jakob Weel, quello del chitarrone bianco. La capacità di Jakob è quella di saper ricreare melodie adatte a trascinare dal vivo: se dovessi elencare una decina di queste band attuali dedite al metallone anni Ottanta che bramo di ritrovarmi a pochi metri su un palco, ebbene sì, i Maule sarebbero tra coloro che menzionerei per primi. E il merito è anche suo e dei suoi ritornelli, Evil Eye, Sword Woman e Summoner su tutte, seguite a ruota da Red Sonja. Buona anche la conclusiva We Ride, tutta giocata su quei giri melodici che fecero la fortuna dei Diamond Head baciati dallo stato di grazia di Brian Tatler. Ma in linea di massima questa è una scaletta da digerire tutta d’un fiato: buon ascolto, con buona pace di tanti bolliti di sessanta e settant’anni che dovrebbero puntare i propri costosi riflettori su gente del genere. Probabilmente il primo disco di stampo classico che ho notato quest’anno, seguito a ruota da Saxon e Venator. (Marco Belardi)

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