Avere vent’anni: AND OCEANS – AM/GOD

Dopo due dischi di sperimentazioni folli, con mille spunti diversi anche all’interno dei singoli pezzi, gli And Oceans azzerano tutto e ripartono da capo. Il risultato è un album strutturalmente semplicissimo, fatto di canzoni saldamente incentrate sui riff e sull’alternanza di strofe e ritornelli, senza svolazzamenti o chissà quali velleità. Il grande assente in AM/GOD è il black metal, che costituiva la base dei due album precedenti e che qui passa decisamente in secondo piano, fatti salvi qualcheriff, qualche blast beat, qualche sfumatura, qualche rimando qua e là, specie ai Satyricon di Nemesis Divina. Anche a causa della produzione, non più quella leggerina e sfumata tipica dei Tico Tico Studios (in cui avevano registrato pure Sentenced e Sonata Arctica, per dire) ma quella grassa e piena degli Abyss, che si adatta perfettamente alla musica contenuta nell’album. Resta da vedere quanta parte abbia avuto Peter Tagtgren nello snellimento del suono degli And Oceans, ma ad ogni modo il cambio di studio di registrazione è stata una mossa decisamente illuminata.
Epurando il suono dal black sinfonico che aveva costituito l’ossatura dei precedenti The Dynamic Gallery of Thoughts e The Symmetry of I – The Circle of O (così come del bellissimo Cosmic World Mother, uscito l’anno scorso dopo diciotto anni di silenzio), i finlandesi virano su un più generico metal estremo con un imponente carico di sintetizzatori, che da un certo punto di vista rappresentano la caratteristica fondante di AM/GOD anche concettualmente, con testi e artwork “futuristici”. Sintetizzatori che però, nonostante il minutaggio imponente, non entrano più di tanto nella struttura del disco, fungendo più da intermezzo, parentesi o fase di passaggio tra due parti della canzone. Anche quando il giro di tastiere guida la melodia, con le chitarre a fare da accompagnamento, si ha sempre la sensazione che siano queste ultime le protagoniste, e che l’elettronica sia più concepita come elemento straniante che come sperimentazione vera e propria.

La sperimentazione, in un certo senso, non c’è: AM/GOD, rispetto ai due album precedenti e a quello successivo, è un disco di canzoni, liscio e pulito, prodotto in modo da sfondare gli amplificatori e più adatto ad essere sentito in macchina che in cuffia. Non ci sono particolari sfumature né grossi sforzi di immaginazione, in realtà: gli And Oceans si dimostrarono persone serie perché, a differenza di molti altri colleghi inseriti nel multiforme e vago calderone dell’avantgarde, non si fissarono nell’interpretare il ruolo degli sperimentatori a tutti i costi e tirarono fuori un disco di riffoni e scapocciamenti proprio quando tutti facevano a gara per apparire il più possibile pazzi, geniali e folletti. Quaranta minuti di musica che va come un treno, con in coda due pezzi che sembrano messi là giusto per allungare il minutaggio e che paradossalmente rappresentano due aspetti speculari degli And Oceans: TBA in a Silver Box, una strumentale cadenzata e ipnotica con un solo riff che rimanda ai primissimi Dimmu Borgir, e New Model World, un’inascoltabile cafonata techno anni Novanta di soli sintetizzatori.
AM/GOD è comunque la vetta incontrastata degli And Oceans. Non per difetto degli altri, che sono tutti bellissimi (un po’ meno Cypher, ma vabbè), ma perché è un album che non stanca mai, in cui tutto è perfettamente nel posto giusto, con una produzione perfetta che riesce a valorizzare appieno la musica, e in cui il ruolo dei sintetizzatori è davvero un valore aggiunto e non un orpello messo lì per fare i dandy col monocolo come si usava a quei tempi. All’epoca lo elevai a disco del mese su Metal Shock (voto 10 su 10, ovviamente), e probabilmente fu anche il mio personale disco dell’anno 2001. AM/GOD è un capolavoro perché, molto semplicemente, le singole canzoni qua dentro sono tutte spettacolari. Questo è il classico caso in cui il citarne alcune sminuirebbe le altre, ma posso giusto spingermi a dire che le prime cinque sono picchi assoluti che anche dopo vent’anni e centinaia (migliaia?) di ascolti ancora ti fanno battere il piedino e scapocciare come se fosse ancora il marzo 2001. E in un certo senso AM/GOD fu futuristico davvero, visto che non mi pare fosse uscito mai niente di paragonabile ad esso prima di allora. Ancora oggi, anno 2021, non ricordo un disco che gli possa essere paragonato se non di sfuggita. (barg)
Gran bel disco, ma non sono d’accordo sul fatto che sia il loro apice. The dynamic gallery of.. resta inarrivabile a mio avviso, capolavoro fuori dal tempo e dallo spazio . Questo è figlio di un determinato periodo, in cui in tantissimi avevano flirtato con l’elettronica, con risultati a volte spettacolari altre un pò meno. A me personalmente la svolta synth beccava più che bene di solito , e anche qui il risultato è di tutto rispetto. Però a confronto dei primi due secondo me è invecchiato un pò male. Approffitando delle ristampe della Season of mist ho recuperato the symmetry e mi sono fatto una full immersion di recente, questo per me un gradino sotto resta, poi oh son gusti. Mi manca Cypher che non ho neppure mai sentito
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E chi se la scorda la recensione! Praticamente era l’anno prima dell’università. Comunque ho una nostalgia pazzesca verso quella stagione lì, quando si sperimentava anche con quel tipo di elettronica. Non sempre i risultati erano eccelsi, però, davvero, che ficata. Altro disco che mi ricordo ti fece impazzire fu S.E.T.I. dei Kovenant. E’ stato uno dei primi dischi che ho comprato a Roma, da Revolver.
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bel tentativo di flirtare con l’elettronica. A me piace tutt’ora per gli stessi motivi citati nell’articolo. E’ un bel disco metal con inserti elettronici, ma non si perde mai di vista l’obiettivo di fondo: la scapocciata.
ogni tanto i suoni elettronici non sono ben arrangiati -secondo me- sembrano appiccicati sopra e basta, ma va bene così.
Parola di uno stronzo che appena sente “pazzi, geniali e folletti” prende la roncola.
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Bellissima band conosciuta grazie alle recensioni cartacee di “AM.god” a suo tempo. La doppietta centrale “esprits de corps” – “odious & devious” è da spaccamascella. Il brano finale è truzzo all’inverosimile quindi meglio la più calibrata “tears have non name”. Il brano perfetto è “postfuturistika” un ottimo bignami di un bel album!
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