Avere vent’anni: SENTENCED – Frozen

Per lungo tempo il mio preferito dei Sentenced è stato The Cold White Light, che alla sua uscita mi colpì talmente tanto da farmelo recensire come disco del mese sul Metal Shock cartaceo. Mi piaceva quel suono freddo e tagliente come un fendente di gelo in faccia, quei pezzi che sembravano tutti singoloni, così brillanti ognuno di luce propria, e quella capacità di comporre canzoni con una facilità disarmante. In tutte queste cose ritrovavo, peraltro, il suono e il concetto di fondo di due dischi che adoravo, cioè Greatest Lovesongs vol. 666 degli HIM e Darkness and Hope dei Moonspell, con cui The Cold White Light condivideva il produttore, Hiili Hiilesmaa, uno che è sempre stato bravo a trasmettere più o meno le stesse sensazioni sempre in modo diverso, a seconda del gruppo che gli capitava sotto le mani e che, soprattutto, riusciva a valorizzare benissimo. Ed era anche il produttore di Crimson, che mi era sempre piaciuto ma che apprezzai davvero solo dopo qualche anno; e peraltro il periodo in cui ritornai in fissa con Crimson fu un periodo davvero del cazzo, quindi aveva anche terreno fertile. E così alla domanda quale disco dei Sentenced preferisci io presi a rispondere Crimson. Ed effettivamente adesso non mi rendo davvero conto di come abbia fatto a preferirgli The Cold White Light. Poi passa ancora qualche anno e mi rendo gradatamente conto della grandezza del presente Frozen, che peraltro ho sempre ascoltato assiduamente (come tutti i dischi dei Sentenced da Amok in poi) ma a cui continuavo a preferire la perfetta forma canzone di Crimson, il suo tono intimo e il suo suono pieno e sfacciato. Quindi mi venne l’illuminazione finale: il mio preferito dei Sentenced non può che essere proprio Frozen.

Sono passati troppi anni, non credo che continuerò ad andare a ritroso. Non impazzisco per Down, stilisticamente uguale a Frozen ma peggiore, e ovviamente adoro Amok che però è un disco così diverso dagli altri che a stento riesco a considerarlo uno dei Sentenced. Frozen invece è perfetto, e anche qui molto merito ha il produttore, Waldemar Sorychta, colui che creò e coltivò un certo tipo di suono di fine anni Novanta, dai Tiamat ai The Gathering fino ai Borknagar e ai Samael, legando indissolubilmente il proprio nome a quello della Century Media e al suo pazzesco roster del periodo. E la grande differenza di Down e Frozen rispetto ai due dischi successivi è proprio il senso di blocco unico che si percepisce, con i pezzi che sembrano sfaccettature della stessa gemma, più che singoli raccolti per farne un album. Anche The Suicider, la più famosa dell’album, non dà l’impressione di spiccare in qualche modo rispetto alle altre, a parte i fisiologici gusti personali.

In realtà, però, i due pezzi posti in chiusura (escludendo la strumentale Mourn) hanno caratteristiche diverse allo spirito del disco. La prima, Drown Together, se ne differenzia nell’essenza: è una struggente canzone d’amore e di speranza, credo un unicum nella storia dei Sentenced. La seconda, Let Go, è proprio diversa stilisticamente, essendo la cosa più allegrotta che sia mai uscita dalla loro penna fino a quel momento, nonostante l’usuale testo da istigazione al suicidio.

A vent’anni di distanza, Frozen rimane un monumento alla grandezza dei Sentenced, un gruppo unico nel proprio genere, la cui impronta è rimasta indelebile nel metal finlandese. Una band dal destino tragico, che ha saputo sciogliersi al momento opportuno e che è rimasta segnata dalla morte prematura di Miika Tenkula. Se questa mia recensione vi appare eccessivamente fredda e distaccata è semplicemente perché ora viene più difficile immedesimarsi nel loro pessimismo cosmico: la vita, crescendo, ti pone in situazioni in cui un atteggiamento rassegnato non è più possibile, specie quando inizi a doverti prendere cura di altre persone. Ma nessuno ha saputo cantare certi recessi dell’animo come hanno fatto loro. (barg)

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