Recuperone grim 2020: DRENGSKAPUR, STORMRULER, SEVEROTH, BLAZE OF SORROW, STORMKEEP

Come ogni anno, arriviamo a dicembre con l’acqua alla gola per le playlist e, presi anche dal senso di colpa per non aver sentito abbastanza dischi – o almeno non quanti avremmo voluto – ci diamo da un lato all’ascolto compulsivo di qualsiasi cosa ci dicano valga la pena ascoltare e dall’altro alla scrittura altrettanto compulsiva di dischi sentiti mesi fa e che ci eravamo ripromessi di recensire entro la fine dell’anno. E, come ogni volta, il vostro affezionatissimo spende almeno uno dei suoi recuperoni a parlare di dischi black metal usciti nell’anno in corso ma di cui nessuno ha parlato. Del resto persino in una redazione che vede al suo interno crudeli winterdemons come Griffar e Mighi Romani c’è sempre qualcosa che sfugge.
DRENGSKAPUR – Was der Morast Verschlang
Il primo disco di cui trattiamo è il classico lavoro su cui non c’è molto di intelligente da dire, perché è black metal semplice e ortodosso che non aggiunge nulla a quanto già sentito in migliaia di lavori analoghi. Epperò, come spesso accade, tutto ciò non inficia il fatto che spacchi decisamente. Was der Morast Verschlang è il quarto full dei berlinesi Drengskapur, che a parte qualche split non si facevano più sentire da sette anni ormai; io ammetto di non averli mai sentiti prima, ma se gli altri sono paragonabili a quest’ultimo allora è molto probabile che mi stia perdendo qualcosa. Black metal silvano, notturno, riflessivo anche nelle sporadiche parti in blast beat, atmosferico, malinconico, con improvvise parentesi acustiche: in vista delle prossime festività chiusi in casa, si candida a diventare la colonna sonora ideale per guardare fuori dalla finestra mentre nubi temporalesche scorrono nel cielo grigio. E c’è anche la sciccheria finale con la cover di Where Ancient Lords Gather dei Throne of Ahaz.
STORMRULER – Under the Burning Eclipse
Ho scoperto questo disco per puro caso e me ne sono innamorato subito. Under the Burning Eclipse è il debutto degli Stormruler, duo proveniente da St. Louis nel Missouri, ed è una bastonata in faccia di quelle difficili da dimenticare. Black metal in pieno stile svedese di fine anni Novanta, con riferimenti immediati a Marduk e Setherial di quel periodo ma costruito in maniera più strutturata e ragionata, in modo da non concentrarsi solo sull’assalto frontale e poter sfruttare così un armamentario più vasto. Uno degli aspetti migliori di Under the Burning Eclipse è il senso della canzone, ovvero la cura con cui ogni pezzo viene costruito in ogni dettaglio, non affidandosi solo al singolo riff o alla sfuriata in blast beat ma diversificando il tutto con un ventaglio di opzioni che pesca da tutto ciò che di buono offriva il black svedese di quel periodo; a questo aggiungiamoci anche alcune aperture in stile più norvegese, quando i ritmi rallentano e si fanno più groovy. Un altro degli aspetti precipui dell’album è il senso epico che esalta molte delle sue soluzioni, dando quasi l’impressione di ascoltare una marcia delle legioni infernali capitanate dal distinto signore che potete ammirare nella (pregevolissima) copertina e che, a quanto ho capito, è il protagonista del concept sotteso al disco. Under the Burning Eclipse è un lavoro che cresce ad ogni ascolto, pieno di sfumature e dettagli che vengono alla luce un po’ per volta. Per me è tra i dieci dischi dell’anno.
SEVEROTH – Vsesvit
L’inizio è sorprendente: una specie di Limbonic Art rivisti in tema moderno ma con un immaginario meno notturno e più “spaziale” per alcuni versi simile a quello sentito nel disco degli Antimateria e nei primi And Oceans ma declinato in modo totalmente diverso (anche a causa della provenienza geografica: i Severoth sono ucraini). Si comincia subito a viaggiare su vari registri stilistici, con accenni folk – che riescono a non stridere con le atmosfere “spaziali” – e anche varie riprese del cosiddetto post-black. Vsesvit parte bene ma ci mette poco a svaccare: ci si inizia a perdere quando il ritmo rallenta ed entra la voce pulita. Quest’ultimo aspetto finisce col prendere il sopravvento abbastanza presto, e a dirla tutta dopo un po’ subentra la rottura di coglioni: ed è complicato, perché i pezzi durano un quarto d’ora circa e troppo spesso si entra nell’ambito dello stillicidio. Si sentono echi dei Drudkh, che da quelle parti devono essere considerati alla stregua di rockstar, anche se più che altro parlerei di degenerazioni delle varie anime che questi ultimi hanno manifestato nel corso della loro lunga discografia. I buoni spunti dell’inizio dell’album vengono ripresi nella quarta Silver Dawns of Spring, l’unica carina nella sua interezza, ma a quel punto ormai il giochino è rotto (e non solo quello). L’ultima Coldness of Sad Eyes è puro black atmosferico, molto arioso e smielato, che ha dei buoni momenti ma che in generale non riesce ad elevarsi dalla media di un genere in cui ormai escono decine di dischi al mese.
BLAZE OF SORROW – Absentia
Alcuni di voi ricorderanno Vltra, canto del cigno degli Spite Extreme Wing nonché, nella mia personalissima opinione, loro disco migliore. Non per difetto degli altri: la band di Argento nella sua breve discografia ha di fatto pubblicato solo capolavori, a partire dai due splendidi demo. Ma Vltra aveva qualcosa in più: era diverso, particolare, unico, e tuttora non saprei bene come descriverlo a chi non l’abbia mai ascoltato. Quei suoni, quelle dissonanze, quel suo essere intimamente italiano con i vaghi rimandi ad atmosfere morriconiane e settantiane fanno rimpiangere ancora di più il fatto che gli Spite Extreme Wing si siano poi sciolti, perché chissà cos’altro sarebbero mai stati capaci di fare. Tutto questo non l’avevo più sentito da alcun’altra parte, almeno fino a quando non ho scoperto i Blaze of Sorrow, che riprendono alcune di quelle intuizioni e le ripropongono in modo del tutto personale. Parlare dei Blaze of Sorrow solo in riferimento agli Spite Extreme Wing, intendiamoci, è scorretto: i mantovani hanno una propria specificità che non si esaurisce nel confronto col gruppo genovese, e che anzi li rende uno dei gruppi black metal migliori che ci siano attualmente sul suolo italico. Fatevi un favore e ascoltate Absentia, il loro ultimo album: moderno ma legato alla tradizione, unico e personale eppure intimamente black metal, capace di creare atmosfera senza scadere nella zuccherosità tipica di gran parte del black atmosferico odierno. I Blaze of Sorrow avrebbero tutto per sfondare, e speriamo che ci riescano il prima possibile.
STORMKEEP – Galdrum
Quest’anno sono usciti alcuni EP splendidi: Yoth Iria, Fer de Lance, Cosmovore, Black Sword Thunder Attack… e Stormkeep. Questi ultimi sono di Denver e Galdrum è il loro debutto: black metal da pelle d’oca, che riprende i primissimi Taake e li centrifuga con un senso della melodia tipicamente svedese, ma mantenendo sempre le radici salde nell’immaginario norvegese. Non molto altro da dire, perché i pezzi black sono solo tre e i riferimenti appaiono immediati sin dal primo ascolto; niente di nuovo da un punto di vista stilistico, ci mancherebbe, ma tutto suonato con freschezza e passione invidiabili. Come ciliegina, l’ultima Lost in Mystic Woods and Cursed Hollows è puro dungeon synth vecchio stile, che – anche qui – riporta alla mente le produzioni novantiane, quando questo genere era ancora molto strettamente legato al circuito black metal. Se vi piace il genere, ascoltatelo prima di subito. (barg)
È da un po’ che mi è risalita la febbra Black quindi i pezzi postati sono precettati per i prossimi giorni. A proposito sappiate che il vostro è servizio pubblico perché tra un po’ cominceranno con gli Wham, Mariah Carey e Una poltrona per due quindi servono anticorpi come il pane.
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leggo adesso la rece di Absentia… belle parole per un grandissimo disco
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