Avere vent’anni: IMMORTAL – Damned in Black

Gabriele Traversa: Ho recentemente scoperto di essere l’unico della redazione ad apprezzare questo disco, e credo che i miei colleghi abbiano contratto il Coronavirus alle orecchie in giovane età, altrimenti non si spiega. Praticamente un disco thrash: rapido (ma non indolore) e veloce, quasi frettoloso, con dei riff martellanti ed efficaci che ti prendono a sberle come manco una nonna del Sud Italia, al pranzo di Natale, incazzata col nipotino di quattro anni perché ha lasciato la mela nella fruttiera dopo aver ingurgitato senza fiatare quattro primi e sei secondi. Quindi: i migliori riff della seconda parte della carriera degli Immortal; una batteria che, se le chitarre ti prendono a sberle, lei ti prende a mattonate in testa; tanto headbanging; tanto ghiaccio; tanti rutti, tante bestemmie. Ascoltatelo, tutto, senza fiatare. E se non vi piace, non rompete il cazzo.

Marco Belardi: Su quest’album è nata una diatriba. A dire il vero nasce sempre: discutevo appunto con Gabriele di quanto poco mi fossero rimasti impressi in testa i pezzi di Damned in Black, e di come, tuttora, io lo consideri uno degli album meno ispirati degli Immortal. Per farla breve, solamente All Shall Fall mi piace meno di questo titolo qua, e quindi le cose sono due: o gli Immortal hanno mantenuto una media qualitativa altissima, oppure c’è qualcosa, nell’album in oggetto, che davvero non va.

In mio aiuto è giunto l’hashtag #iorestoacasa, permettendomi di mettermi lì con le cuffie a riascoltare Damned in Black. Questo penso per la terza, massimo quarta volta in vita mia: su Pure Holocaust avrò fatto il solco come un puttaniere in via Forlanini a 40 km/h dopo le 22:30. Poc’anzi ho detto che la diatriba nasce sempre, a riguardo di Damned in Black, e ribadisco che quando uscì in commercio ne sentii di tutti i colori. Chi lo paragonava ai Celtic Frost, chi ne esaltò il marcato ritorno all’aggressività e ad una formula priva di fronzoli. Ad altri faceva cacare scimmie alte due metri, mentre erano proprio le cosiddette vie di mezzo a latitare. La realtà è proprio quella, riascoltandolo.

Damned in Black non è affatto brutto. Wrath from Above si conferma il suo piatto forte, ma a confronto con una Solarfall perde e riperde ancora. Poi ci sono la title-track, In our Mystic Vision BlestAgainst the Tide che non sono malaccio, mentre una Triumph messa lì in apertura è più paraculo di tutte le cose che ha fatto pubblicamente Abbath dal 2015 in poi, tipo rotolare dalla collina al festival, sbronzarsi in Sud America eccetera eccetera. Adesso che ho terminato l’ascolto dell’album sono convinto che me ne dimenticherò completamente, e che fra un bel po’ di anni dovrò ritornarci sopra per ricordarmi che non era affatto brutto. Ma che cazzo di situazione.

3 commenti

  • Lo riascolterò. la prima traccia che mi è venuta in mente, https://www.youtube.com/watch?v=kHp_4qSKFuk

    magnifica.

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  • È un disco buttato fuori in fretta e furia per cavalcare l’onda lunga di at the heart of winter, lo si capisce anche dalla copertina insulsa, evidentemente non ebbero il tempo di pensare a qualcosa di decente . Pure a me non è mai riuscito di farmelo entrare in testa, alla fine è semplicemente la brutta copia del precedente

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  • ricordo anche io parecchie dispute all’epoca su questo disco. A me non è mai piaciuto, probabilmente avevo in mente l’immagine dei vecchi Immortal o chissà quale altra pippa mentale, ma non mi ha mai attratto.

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