Avere vent’anni: ICED EARTH – The Dark Saga
Come ebbi modo di scrivere l’anno scorso, Burnt Offerings è e rimane il mio album preferito degli Iced Earth, ma adoro anche The Dark Saga e buona parte dei lavori successivi.
The Dark Saga in particolare segna lo scollamento tra le atmosfere sulfuree e thrashettone del disco precedente e la relativa accessibilità di quanto i nostri proposero in seguito, guadagnandosi sì orde di fans, incluso il sottoscritto che comunque fan lo era già, ma perdendo per strada quella ruvidezza dei primi anni che molto avevo apprezzato proprio fino a Burnt Offerings. Immagino che il merito, o la colpa, di questo cambio di direzione sia di Matt Barlow. Perché? Perché Barlow è un cantante eccezionalmente dotato e con una timbrica molto calda, l’esatto contrario dei corrispettivi dei primi due dischi, Iced Earth e Night Of The Stormrider, uno peggiore dell’altro.
E quindi Jon Schaffer si è trovato improvvisamente a poter contare su di un tizio in grado d’interpretare una gamma di emozioni ben più vasta del ragliare come un mulo dall’inizio alla fine del disco, con il conseguente e progressivo ammorbidimento delle sonorità, dovuto alla volontà del nostro di sperimentare soluzioni melodiche differenti, in una ricerca che poi è, purtroppo, degenerata nella “conquista del ritornello perfetto”, un’epica odissea ancora non conclusasi che nel prosieguo della carriera gli ha portato ben pochi frutti, specie negli ultimi anni. Non è questione d’essere incazzato o meno, insomma, o non solo. Anche perché Jon Schaffer incazzato sta quasi sempre.
Ovviamente non è che gli Iced Earth post Burnt Offerings siano diventati di colpo i ][Kansas][: quando parlo di ammorbidimento sonoro è da intendersi sempre e comunque all’interno di un canovaccio di influenze che va dagli Iron Maiden ai Kiss fino a qualcosina della scena death metal floridiana di fine anni ottanta/ primi novanta. Non a caso The Dark Saga, come pure i dischi precedenti, venne registrato e prodotto proprio da Jim e Tom Morris nei famosi, all’epoca, Morrisound Studios di Tampa, e se in Burnt Offerings la produzione è invero piuttosto grezza, in The Dark Saga risulta assai più pulita e definita, contribuendo ancora di più a sottolineare la differenza stilistica tra i due lavori.
Ma insomma, The Dark Saga alla fine poi com’è? Bellissimo. Ripeto, non mi piace come Burnt Offerings, ma è bello comunque. Molto più semplice, assai più melodico, con grandi ritornelli e un trittico di pezzi in chiusura da infarto e l’apice nell’ultima A Question Of Heaven, una sorta di ballata rocciosa, riuscitissima, con intermezzi acustici e cori angelici, impensabile nel disco precedente seppur coerente e degna conclusione di questo. Ovviamente la bravura di Matt Barlow è evidente in ogni strofa o ritornello, I Died For You (che per come è strutturata mi ha sempre fatto venire in mente i Queensryche di Operation: Mindcrime), The Hunter, The Last Laugh sono tutti pezzoni semplici, accessibili, duri e fatti apposta per valorizzare la voce del rosso cantante come evidentemente non era accaduto nell’album prima, pur se a costo di sacrificare lo zolfo e buona parte della durezza di Burnt Offerings nel processo.
Rimanendo in tema infernale, il discorso si riflette anche nelle scelta delle copertine: mi piace lo Spawn della copertina di The Dark Saga ma preferisco comunque Dante e Virgilio che contemplano Lucifero nell’illustrazione del Doré scelta per il predecessore. Sempre di inferno si tratta, ma di versioni dello stesso radicalmente, sideralmente diverse. Vedete voi quale preferire, in caso. (Cesare Carrozzi)
Da estimatore di Barlow, e degli Iced Earth – non ho vergogna ad ammettere che gli IE sono da sempre il mio gruppo preferito, nonostante i mezzi passi falsi degli ultimi 15 anni, e che per me Barlow sia stato il cantante migliore partorito dall’intera scena metal dagli Steppenwolf in poi – apprezzo moltissimo Dark Saga, pur preferendo come il Carrozzi (e probabilmente nessun altro al monto) il già citato Burnt Offerings, che è il disco della mia vita. Dark Saga mi ha sempre lasciato l’amaro in bocca per quella sensazione di freno a mano tirato che scaturisce dal conoscere di cosa fossero capaci gli Iced Earth con quella mazzata furiosa di BO impreziosita dalla voce del roscio. Nel complesso è un discone, con pezzi bellissimi e prodotto ottimamente (per i miei gusti anche troppo, in certi passaggi sembra un po’ di plastica). L’unico difetto sta nella presenza di tre pezzi, “the last laugh”, “scarred” e “depths of hell”, secondo me non all’altezza del resto: hanno un sapore troppo troppo marcato di filler. Il resto è oro puro, dalla title track che ci immerge nell’atmosfera del concept, alle varie power ballad, alle cavalcate power-thrash segnate a fuoco dal marchio Schaffer. Pezzi meravigliosi resi ancora migliori su Alive In Athens, quando ancora dal vivo non usavano metronomi o registrazioni o altre cazzatine e potevano permettersi di suonare i pezzi al doppio della velocità e della potenza rispetto al disco.
Poi, come detto, sono di parte. Alla fine l’unico disco che non ho proprio sopportato è stato quello del ritorno di Barlow…
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Il problema con i dischi degli Iced Earth è che le canzoni più belle al 95% compaiono su Alive In Athens in una versione che ti fa bollire il sangue nelle vene, portandoti a trascurare un po’ le versioni in studio. Avercene, di problemi così…
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L’unica altra coppia di dischi con lo stesso tipo di problemi che mi viene in mente è “Machine Head” e “Made In Japan”, che è tutto dire. E forse anche una buona metà dei pezzi di “No Sleep ‘til Hammersmith”, dai.
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concordo!!!
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