Nel dubbio, il metallo: MATT ELLIOTT @Lanificio159, Roma 23.05.2012
Charles e Trainspotting sono andati a vedere Matt Elliott dal vivo, affrontando orde di hipster assetati di succo di mela. In questo doppio live report raccontano come sono sopravvissuti.
Roberto ‘Trainspotting’ Bargone: Avevo già fatto un errore del genere. Una volta io e Ciccio preferimmo andare agli Offlaga Disco Pax piuttosto che ai Novembre, che suonavano la stessa sera. E, dopo esserci resi conto dell’improvvido sbaglio, facemmo una promessa a noi stessi: nel dubbio, il metallo. Lo stesso giorno di Matt Elliott suonavano i Mudhoney: certo non sono i Manowar, ma è comunque roba nostra. Sono contravvenuto al Principio, e sono stato punito dagli Dèi del metal. Perdonatemi, Dèi del metal! A mia giustificazione posso dire che di Elliott sento parlare dal 2005, quando uscì il debutto Drinking Songs che diventò uno dei dischi preferiti della trimurti Cortesi-Socci-Aramini; i quali ne hanno detto così un gran bene che, sette anni dopo, ho pensato fosse opportuno togliermi la curiosità. Sbagliando. E comprendo l’enormità del mio errore non appena entro nel Lanificio e scorgo sul palco un hipster con l’espressione intensa e trasognata che suona la sua chitarrina del cazzo sussurrando cose intense; e poi vedo il pubblico completamente composto da indiboi in divisa ufficiale da indiboi, che si tengono ben distanti dal palco perché vergognosi, poveri cari; molti con la reflex, molti con il tascapane a tracolla, alcuni in completo vintage tre taglie più piccolo, pantaloni a zumpafosso, papillon e bretelline. Le bretelline! Tutti con la barba, gli occhiali spessi, e lo spirito annegato nelle fragili composizioni del fighetto con la chitarrina del cazzo.
Io e Charles iniziamo a bere birra. Che ci sia la birra è già una buona notizia, perché magari in quei posti ti aspetti che vendano solo succo di mirtillo biologico o spremuta di soia equa e solidale degli stramortacci loro. Invece no, io e il gracile Charles possiamo bere la nostra birretta da cavernicoli metallari amanti delle chitarre che fischiano e delle esplosioni nucleari. Poi sale sul palco Matt Elliott ed è la fine della mia vita. Per un’ora e mezzo questo è andato avanti con i suoi lamenti, la sua chitarrina del cazzo e soprattutto una marea di roba in playback. In certi punti era tutto in playback. Perché sul palco non c’era nulla, solo lui e la sua chitarrina del cazzo, eppure si sentivano seconde chitarre, terze chitarre, a volte la batteria, feedback di chitarra elettrica, tastiere, eccetera. A un certo punto ha strimpellato la sua chitarrina del cazzo a caso per tipo cinque minuti mentre sotto c’era un loop con altri strumenti d’accompagno, l’unico problema (in realtà non proprio l’unico, ma vabbè) era che il loop era settato male, e quindi ogni volta che ripartiva perdeva una battuta. Ve lo giuro che io raramente ho sofferto così tanto a un concerto. L’atmosfera era surreale: io e Charles eravamo costretti a sussurrare, perché a parlare normalmente ti sentivano tutti, e coprivi anche la musica. Ho dovuto silenziare il cellulare perché se avesse squillato di sicuro mi avrebbe guardato male pure Matt Elliott. Poi come suoneria ho Keelhauled degli Alestorm, sai come sarebbe piaciuta al tizio con la bombetta e le bretelline? Però quel testo sarebbe adattissimo da mettere in pratica su tutti questi intellettuali con la barba e la tessera Feltrinelli. A un certo punto ho fatto una foto col flash e si sono girati tutti di scatto verso di me, sprezzanti. Ad un concerto! Gli indiboi sono il male assoluto, dico sul serio: bisogna fare qualcosa affinché sia loro impedito di riprodursi, oppure possiamo chiedere a Beppe Grillo se ci pubblicizza una legge d’iniziativa popolare per far sì che siano obbligati a vivere con enormi oggetti nel retto. La cosa migliore della serata è stata il cd dei Doomraiser che abbiamo sentito in macchina al ritorno. Imparate dalla mia esperienza, voi che leggete: nel dubbio, il metallo.
Charles Buscemi: Riesco a convincere Roberto, uno che per suoneria al cellulare ha messo gli Alestorm, ad accompagnarmi al Lanificio159 a vedere Matt Elliott. Credo che non mi perdonerà mai per questo. Erano due giorni che la Città Eterna si preparava al concerto e appunto da due giorni non la smetteva di piovere. Fino a poco fa l’ha buttata di santa ragione perché Roma sa che tra le sue spire, in un freddo e spoglio magazzino industriale, si cela un’anima affranta che attende solo di condividere col pubblico presente tutte le sue angosce. Elliott si sarà sentito a casa, come nella uggiosa Bristol. Le strade sono vuote e arriviamo presto al concerto. Appena giunto mi rendo conto di essere già stato in quel posto qualcosa come dieci anni prima e subito la nostalgia mi assale. Entriamo la prima cosa che ci colpisce è la strana varietà degli astanti. C’è gente con gli occhiali, gente con la barba, gente col cravattino, gente con la tracolla, gente con le bretelle, gente con la Canon e gente con i pantaloni a zompafosso. Non ci sentiamo per niente a nostro agio: due metallari soli in mezzo ad un mare di indiboi. Mi viene voglia di ribaltare qualcuno, uno a caso, e magari spaccare la chitarra in testa a quel tizio che se l’era portata da casa. Sale il fastidio. In quel momento sta suonando un ragazzino, un tale Jens Bosteen, con addosso un jeans e ‘na maglietta, capelli stirati e sguardo indefinito. Suona un folk cantautorale bristoliano per l’appunto, riempitivo, ma un pezzo mi piace pure. Roberto mi guarda già stranito ma essendo un socratico prima di profferire parola si astiene dal giudizio. Prima birra, primo sifone e compro 3 cd. Il ragazzino finisce la sua nenia e se ne va senza manco salutare il pubblico. Da dietro di me spunta Matt che mi scansa e senza dire una parola si va a piazzare sul palchetto. Mi accorgo che era stato lui a vendermi i cd. A saperlo gli avrei almeno comunicato quanto mi sentissi triste e fallito in quel preciso istante. Me lo immaginavo come un derelitto, un irrecuperabile ubriacone, invece ci appare davanti questo ragazzone timido ma a posto; inizia lo show.
Il Lanificio sembra una chiesa di indiboi in estasi mistica e ogni volta che io e Roberto ci scambiamo due parole la gente si gira e ci guarda malissimo. Ho paura di sporcare a terra con la cenere della sigaretta e mi chiedo anche se sia il caso di togliere la suoneria al cellulare; sono sicuro che se in quel momento qualcuno avesse telefonato a Roberto gli indizombi ci avrebbero assalito (ma prima di morire cinque o sei di loro li avrei portati con me all’Inferno dall’amico Belzebù il quale li avrebbe buttati nel girone Marshall, condannati ad ascoltare i Pantera per l’eternità). Dopo il fastidio arriva anche il pessimismo. Matt attacca e da quel momento in poi il tempo va in pausa. La pesante umidità in sospensione si aggrava di una angoscia infinita. Roberto ha gli occhi iniettati di sangue e sento il furor gallico salirgli in gola ma gli dura poco perché il carico di sentimenti negativi che ci viene rovesciato addosso darebbe del filo da torcere persino a un Joey de Maio dopato di Viagra e RedBull. Sono sicuro che Matt sta eseguendo qualche pezzo da Drinking Songs e dall’ultimo, The Broken Man, ma non provo nemmeno a chiedermi quale perché la depressione è già a livelli notevoli. Ad un certo punto reinterpreta a modo suo Il Galeone, la poesia di Pedrini che poi è diventata un famoso canto per gli anarchici italiani, e ovviamente la canta in italiano. Siamo troppo affranti e lì per lì non la riconosciamo come del resto tutti gli altri ai quali abbiamo chiesto maggiori ragguagli; nonostante ciò tutti-gli-altri annuiscono e ridono (ma annuivano e ridevano anche quando Matt, tra un pezzo e l’altro, mugugnava qualcosa al microfono e fidatevi che non si capiva una mazza). Ma poi cosa avete da ridere, siete a un concerto di Matt Elliott, mica di Belle & Sebastian. Io invece sono totalmente distrutto e voglio farla finita al più presto. Roberto ha addirittura smesso di guardare il fondoschiena della tipa davanti e sono ormai dieci minuti che fissa il pavimento, poi sgrana gli occhi e dice “vado a prendermi una Coca Cola” e solo allora realizzo che stiamo superando il punto di non ritorno e che occorre andar via al più presto. Matt esegue una strana versione del brano surf Misirlou di Dick Dale (quello di Pulp Fiction), nel suo tipico bolero che termina in una entropica distorsione gracchiante e a volumi parecchio alti. Poi finito il bis mugugna qualcos’altro e senza salutare il pubblico, come quell’altro prima di lui, se ne va.
Andiamo via anche noi. Ho voglia di morire gonfio e solo in una pozza di piscio. Riaccompagno Roberto e mi assale un’idea: se mi schiantassi contro un platano della Nomentana? Ma ho moglie e cane che mi aspettano a casa. Allora accendo la radio e per puro caso mi sintonizzo su Radio Onda Rossa e le good vibes del reggae che passa in quel momento mi rasserenano. Devo la vita a Radio Onda Rossa e devo la vita anche a te amico alla radio che, palesemente alterato dall’uso di chissà quale pianta ornamentale, andavi ripetendo frasi sconnesse. Domani torna il sole. Non può piovere per sempre.
questo molto probabilmente è il live report più bello mai fatto da questo blog..ma questi hipster da dove nascono?qualcuno mi spieghi da dove nasce sta moda merdosissima
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escono dalle fottute pareti
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e allora KILL IT! KILL IT WITH FIRE!
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Volevo andarci pure io a vedere Matt Elliott, ma sono rimasto incastrato in suolo veneto. Che poi a me Matt Elliott piace anche un casino, pensavo fosse fuori da certi circoli hipsteriani. A volte il problema non sono neanche gli artisti, ma la folta schiera di gente che ci gira intorno. Dovevate dirglielo comunque a Matt Elliott: OTHER BANDS PLAY, MANOWAR KILL.
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ma a parte il fatto che dopo un suo concerto stai malissimo a me è piaciuto un casino
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Porca puttana, ho fatto bene ad andarmene prima.
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Non conosco il tipo in questione, ma il solo fatto del playback in un concerto che prevede l’uso di chitarre, sebbene acustiche, dovrebbe rendere il musicista soggetto a persecuzioni modello regime iraniano.
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nel dubbio certamente il metallo, ma anche l’alcol, la masturbazione, guardare il rubinetto che gocciola, e tante altre cose mi parrebbero consigliabili rispetto a ‘sta chiavica.
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punto 1: purtroppo gli indiboy Grillo lo votano in massa, quindi niente sodomia con bottiglie di plastica per loro
punto 2: adoro Matt Elliott, specie se lo ascolto nel “giusto” momento. tuttavia dal vivo capisco come possa essere una mazzata di devastanti proporzioni
punto 3: vorrei entrare in un covo di indiboy con shotgun e quad damage di Quake. avete presente quando spari e l’alieno/demone esplode in milioni di brandelli sanguinolenti? ecco!
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tra l’altro Drinking Songs del suddetto Elliott se la gioca testa a testa con Down Colourful Hill dei Red House Painters nella mia personale hit parade dei dischi che più ti causano voglia di morire
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down colourful hill è bellissimo
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ah su questo non c’è alcun dubbio! però quando ascolto Medicine Bottle mi viene voglia di sedermi in un angolo con le ginocchia tra le braccia, dondolare e poi non alzarmi mai più
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nel giorno della finale dell’eurovision non si dovrebbe essere tristi.
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c’era il cantante del Lordi, che lo vinse qualche anno da, come inviato dalla Finlandia! Unica luce in un mare di merda di serata!
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indi(per cui)boy
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Ma perchè continuate a farvi del male guardando l’Eurovision? A me è venuta la cataratta solo guardare quella cafonata con i tamburi e le gonne in pelliccia che rappresentava l’Ucraina qualche anno fa.
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proprio perchè è una cafonata maxima, è il trionfo del kitsch, dove puoi vedere un gruppo rumeno con due negri e che canta in spagnolo, dove l’irlanda invece dei primordial mi manda due ceffi che sono un ibrido mal riuscito tra i tokio hotel e i bros (magari a qualche anziano come me gli si risveglia ancora la gastrite solo a nominarli), dove perfino Albione mi manda un vecchiaccio che sarà un sicuro sodale di little tony nella lotta al colesterolo…come fai a non amare l’eurovision?
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Così impari a dar buca ai Mudhoney! Son cose che non si fanno
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Dispiace per quel che avete dovuto sopportare, ma per noi lettori son solo risate.
“Roberto ha addirittura smesso di guardare il fondoschiena della tipa davanti e sono ormai dieci minuti che fissa il pavimento, poi sgrana gli occhi e dice “vado a prendermi una Coca Cola” e solo allora realizzo che stiamo superando il punto di non ritorno e che occorre andar via al più presto.”. Lacrime :D
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Pingback: Sporca estate « Metal Skunk
Matt Elliott registra praticamente tutto in diretta usando una loop machine e sovrapponendo via via nuove voci e nuove chitarre su quelle appena suonate. Ovviamente se sbaglia si porta dietro l’errore. Serve una notevole concentrazione. Cosa che tu e il tuo amico non siete in grado di mantenere nemmeno sul culo di una ragazza. Misirlou è una antica canzone greca, potrei continuare a credo che a questo punto tu stia già fissando il pavimento.
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