Unboxing: delirio narcisista o strategia di marketing?

Ricevere un regalo e scartarne il pacchetto, già pregustandone i contenuti, era uno dei momenti magici cui prendevamo parte nella nostra quotidianità, frenetica eppur lentissima nell’incedere. Accadeva da bambini. Ma oggi abbiamo chi quaranta e chi cinquant’anni e sappiamo benissimo come va il mondo: anche scartare un pacco è divenuto marketing. Eppure molti di noi non sanno darsi un contegno durante un atto di siffatta semplicità, rischiando derive priapiche, l’allagamento ed altri spiacevoli inconvenienti. In un certo senso è come se qualcosa di legato alla nostra personalità primordiale e infantile, ritornasse in qualche modo fuori con prepotenza e ilarità.
Sempre più spesso incoccio video accomunati da una parola nel titolo: unboxing. La prima volta, se devo esser sincero, nulla c’entrava col mondo dell’heavy metal. Se ben ricordo era un milanese riempito fino all’orlo di cocaina che spacchettava un rasoio di sicurezza e che, con fare logorroico da 300ppm (parole per minuto), ci introduceva ai contenuti del packaging: e indovinate che c’era dentro. Il rasoio e basta. Mi diede da riflettere. Le sue condizioni psicofisiche con certezza l’avranno condotto ad affettarsi barbaramente la faccia anche con una slant, ma non è questo il punto.
Credo che i video di unboxing si possano approcciare in due modi: uno clinico e uno non clinico. Partirò dal secondo.
Se tu compri un box set alla cieca, può essere che rimarrai deluso perché quello scatolone è stato pensato, realizzato e confezionato in maniera approssimativa. Un video di unboxing allo stesso tempo ammazza l’effetto sorpresa (una cosa che non ricerchiamo più dai tempi della parziale sostituzione del formato fisico con quello digitale) e va a chiarire, o addirittura a levar di mezzo, quei dubbi che potrebbero ridurre la possibilità d’acquisto. Qui, se s’intende ragionar di musica, entrano in gioco le case discografiche, le quali hanno ogni intenzione di sfruttare l’unboxing per promuovere un gingillo costoso sul quale hanno creduto e investito; o ben guardarsene se consapevoli di rifilare nulla più che un pacco. In tal caso lo aprirai alla cieca, sì, ma non per motivi propriamente di cuore. Sarà come coi vecchi videoregistratori all’Autogrill e il mattone forato che trovavate all’interno.
L’unboxing non è solo un modo per inquadrare e recensire lo stile generale del confezionamento, il che spalanca gli abissi del narcisismo del consumatore; definisce ed elenca la quantità, qualità e utilità degli accessori secondari inclusi nella confezione. Farò un esempio. Il giorno in cui ho acquistato una mirrorless Sony, la Alpha A7 mark III, alcuni degli accessori di serie mi servivano; l’altra metà era del tutto superflua. Ho scoperto poi che sarei dovuto andare a comprarmene altri – dati per scontati – che lì dentro non erano nemmeno presenti. Sebbene mi fossi documentato con perizia sul sensore di quella fotocamera Sony, sulla sofisticatezza dei menù, sulla disposizione e customizzazione dei tasti e mille altri aspetti, quella cosa l’ho scoperta spacchettando. Per il sottoscritto non è cambiato niente e avrei ugualmente proceduto con l’acquisto, ma altri avrebbero optato per un altro marchio o modello, oppure, nel peggiore dei casi, sarebbero finiti in crisi isterica come spesso capita al consumatore narcisista.
È qui che entriamo nell’ambito della sociopatia, che da sempre Metal Skunk studia grazie agli zelanti articoli del Messicano su cugini cannibali dell’entroterra marsicano o a cose meno orrende come la qui discussa.
È mia idea che il cinquanta per cento dei tizi che finiscono su YouTube per pubblicare un video di unboxing lo facciano a causa di una smisurata deviazione che ne ha compromessa la psiche. E con la percentuale sono stato basso. Il confine labile fra megalomania e senso d’inadeguatezza e inferiorità è tuttavia un mondo che non dibatterò né esplorerò oggi, e, a voler essere ottimisti – parecchio ottimisti – il tutto ci rimanda al massimo alle sensazioni provate da bambino. Il che ci rimanda ottimisticamente al discorso iniziale. Fatevi un giro su YouTube, nel caso non ne siate al corrente: vi si spalancherà davanti un abisso fatto di esaltati cronici ai quali genitori, fratelli o coinquilini dovrebbero gettare il TV piatto da 58 pollici, la collezione di manga e a seguire loro stessi giù dalla finestra, all’attenzione del ritiro programmato dei rifiuti ingombranti.
Non è tanto il desiderare un oggetto, e, un giorno o un mese più tardi, veder scemare quella sensazione nel momento in cui l’inutilità si è palesata presso la nostra abitazione: avete presente la sensazione? È un po’ come in quel celebre meme su Wish.
Credo sia il fattore compulsivo a portare certi individui a mostrare che ce l’hanno fatta, e lo si deduce dal tono a cazzo eretto con cui a malapena riescono a tenere la mano ferma mentre spacchettano l’edizione di merda dell’ultimo Tool (con dentro uno schermo Led che riproduce cose psichedeliche che non riguarderete mai), per poi balbettare, meravigliati e priapici, al cospetto dell’ inlay booklet minimale in una carta che non avevano mai individuato prima. La scena dei biglietti da visita di American Psycho riflette questo genere di individui, i quali debbono essere i primi a conseguire l’acquisto e condividerne la felicità con un palcoscenico che, il giorno in cui creperanno, non si metterà mai d’accordo per un telegramma o un mazzetto di gerbere. Un video di unboxing, riassumendo, raggiunge uno scopo solo ed esclusivamente se va a diradare i dubbi del consumatore asettico che non può incappare in sorprese, e se lo fa in senso strettamente tecnico. Oppure se è pianificato a scopi pubblicitari, come vedremo adesso.
Abbiamo parlato poco dei Metallica in queste settimane o sbaglio?
È molto simpatica la questione Metallica, che, come riporta il solito Blabbermouth (la mia droga quotidiana quando voglio vedere l’heavy metal dal peggior punto d’osservazione possibile, scovando perle su perle), si sono ritrovati a piazzare il povero James Hetfield a fare l’unboxing di 72 Seasons dieci giorni prima dell’uscita del disco (nove se si considera la preview in theaters) tagliando il cellophane intorno al vinile con un coltello da caccia (o da porcini) per mostrarci l’orribile artwork di copertina e le sbarre a forma di numero 72 che, all’interno, nascondono le foto in bianco e nero dei Four Horsemen.
Sarò vecchio io, ma il gusto di scoprire come hanno imbullettato un vinile dentro a un po’ di cartone, e quali immagini vi sono raffigurate, non vorrei mai e poi mai sputtanarmelo, né col video di un appassionato che è arrivato prima di me, né con quello imposto da Peter Mensch o dal manager di turno. Altrimenti tanto vale buttarsi sul formato digitale, perché la gioia del vinile, o del cd, o della cassettina, è anche quella di srotolare per la prima volta quei foglietti ed entrare un’altra volta in un mondo magico come la creazione di un album. Comunque quando comprai Load a scatola chiusa il primo motivo di incazzatura fu che mancavano i testi integrali, non so se avete presente la sensazione. Comunque smettetela di riprendervi mentre spacchettate qualsiasi cosa, siete disumani, non c’è scuse. (Marco Belardi)
sono televenditori 4.0, guarda caso anche lo youtuber più imbecille la lucidità per il referral link la recupera sempre…che si tratti di dischi, orologi o schede video.
"Mi piace""Mi piace"
Se una persona di oltre quindici anni guarda i video unboxing e se ne lascia influenzare circa la possibilità di acquisto, secondo me, ha un problema piuttosto significativo.
Sarebbe anche il caso di accorgersi che i fruitori del metal, attualmente, quelli che comprano ancora i dischi, sono parecchio adulti, se non vecchi. Corollario: è altamente probabile che se ascolti metal a quaranta o cinquanta e oltre, non sei proprio un accumulatore seriale di stronzate. Perché sei già scafato da una vita. Poi ci sono anche i bambacioni. Mica no. Ma quanti sono disposti a consumare sull’onda emotiva de “scarta la carta! Scarta la cartaaaa”?
Porco dio, mi sono venuti in mente i micidiali compleanni standardizzati dei marmocchi di oggi. Ritualismi a profusione e genitori che stanno lì, porco dio (lo ripeto). Alle feste fatte in qualche cazzo di locale adibito. Tutti lì, mannaggia il creatore. Ecco, se penso a questo e al personale ribrezzo che ne deriva, mi rendo conto che quelli di quarant’anni che stanno lì (porca madonna, aridaje), potrebbero anche essere capaci di fare gli unboxing e di pubblicarci un video sui social.
Come disse Janine Chasseguet Smirgel, siamo nell’ambito della negazione delle differenze generazionali. Ed è uno degli aspetti simbolici della perversione.
"Mi piace""Mi piace"
Creatività e perversione
"Mi piace"Piace a 1 persona
Esattamente.
"Mi piace""Mi piace"
Io non lo sopporto l’unboxing !!!!
Specialmente quelli di strumenti musicali !
Eppoi di solito sono gli stessi che prima di farti sentire una cazzo di nota parlano delle caratteristiche per
mezz’ora ..
A me importa sega di come cazzo è il package .. voglio sentirla !!
Diocaneporco..
"Mi piace""Mi piace"
Aspetto con ansia l’articolo che parlerà delle REACTION ALLE CANZONI.
"Mi piace""Mi piace"
in teoria volevo citare react/overreact qua dentro (se esce Reca è il correttore automatico, non l’ex giocatore dell’atalanta) ma non la finivo più di scrivere… è già in programma
"Mi piace""Mi piace"
che poi, l’unboxing… lo sanno tutti che dentro la scatola valgono dippiù!
"Mi piace""Mi piace"