Il gruppo della porta accanto: JUGLANS REGIA – Neranotte

Una promessa che mi sono fatto a inizio 2023 era di natura strettamente geografica. Ho pensato che avrei dovuto occuparmi più di frequente di realtà nazionali, se non addirittura regionali, io che sono abituato un po’ da sempre ad andare a scovare il thrash metal nelle più spopolate zone del Sud America o dell’Est Europa. Dopo i Burning Leather e gli Adversor, tocco oggi quota tre con un nome che conosco da circa un quarto di secolo, avendone seguito in presa diretta il cambio di nome e le primissime pubblicazioni, oltre alle conseguenti reazioni da parte di giornali e webzine. I Juglans Regia, che scopro soltanto oggi essere una band di Sesto Fiorentino proprio come il sottoscritto.

Ho suggerito di poter recensire l’album degli Juglans Regia al loro tastierista, Riccardo Iacono, in realtà una new entry che conoscerete grazie ai quattro dischi che incise coi Domine, e cioè tutti fuorché Champion Eternal.

Il motivo è che li associo a una scena rigogliosa come quella fiorentina d’un tempo, che ho vissuto in prima persona negli anni in cui ogni fine settimana c’era un concerto, che fosse al Backdoors o alla Vecchia Guardia, al Keller o al Cencio’s, che si trattasse del Siddharta o d’una semplice birra al Trip per Tre in compagnia di buon heavy metal e ottimi amici. Non c’era mai da annoiarsi in quella Firenze, e la periferia offriva anche di meglio.

Tutto ciò accadeva durante la seconda metà degli anni Novanta e a inizio Millennio. Poi si spense tutto, all’incirca nel momento in cui i Labyrinth fecero il botto. La magia cominciò a scemare da allora.

A Duemila inoltrato, gli Juglans Regia, che altro non sarebbe che il nome scientifico del noce, mi sorpresero allorché ascoltai Prisma, più volte definito un progressive rock che mutava continuamente faccia sino a includere la radice stilistica stessa di questi ragazzi fiorentini: l’heavy metal classico. Stando a uno storico numero di Metal Shock si trattava di post-rock. Ricordo benissimo il riffone di Crepe e di averli completamente persi di vista oltre l’uscita di Controluce. Ciò implica il non aver sentito parlare di Visioni Parallele sino ai giorni nostri, al che, recensione alla mano, il recupero del medesimo si è fatto obbligatorio.

L’ingresso di Iacono in formazione si riconduce in realtà proprio a quel disco, sul quale incise alcune parti di tastiera. L’altra aggiunta riguarda il chitarrista Samuele Scandariato, al posto di quell’Antonello Collini che aveva preso parte ad ogni composizione passata.

Sugli Juglans Regia ho un’opinione radicata. Sono di difficile catalogazione e spesso implicano il tirare in ballo un’infinità di gruppi celebri del progressive rock italiano anni Settanta. Non che un paragone con questi ultimi sia del tutto campato in aria, ma personalmente ci trovo scarsi punti di reale contatto. Gli Juglans Regia sono un gruppo heavy metal come lo era la loro prima incarnazione, i Raising Fear, soltanto in un bilanciamento 50% e 50% col rock. Che si tratti di progressive rock è inevitabile, ma l’estrazione metallara dei cinque è indiscutibilmente forte anche in quel senso.

Molti riff, molti assoli, molti momenti degli album degli Juglans Regia altro non sono che un proto-heavy metal ammorbidito e smussato agli angoli: su quell’intelaiatura – spesso ritmica – si poggiano arrangiamenti e atmosfere che rimandano ora agli anni Settanta, ora al decennio successivo.

Con l’ingresso di Riccardo Iacono – rimuovete dalla testa le sue partiture in Stormbringer Ruler – la sostanza è pienamente cambiata, essendo stati inseriti in primo piano un mood molto moderno e tastiere essenziali e melodiose. Nulla a che spartire con la ridondanza di note di Oleg Smirnoff, ma i suoni adoperati sono una variante anni Ottanta di quel che talvolta ci ha proposto. Samuele Scandariato ha optato per un suono corposo e rock, per nulla secco e tagliente, senza che ciò variasse più di tanto la natura conosciuta dei loro riff.

JR2023_Booklet_01cover

Il pregio maggiore degli Juglans Regia è il riuscire a suonare una roba del genere nella maniera più semplice possibile. È proprio la struttura dei singoli brani ad essere semplice, in un certo senso lineare, nonostante le dinamiche e una forma mai ripetitiva. È un progressive rock, o metal, o quel che volete, che scorre liscio come l’olio: pensate in un certo senso alle ritmiche curate e serrate di una Pierrot e la Luna e alla sua contemporanea capacità di entrare in testa, e, sebbene l’effetto sia irripetibile, la volontà è certamente quella. L’unico difetto tecnico l’ho riscontrato nel mixaggio della voce, settato a volume troppo alto. Alessandro Parigi, dentro dai tempi in cui il moniker era Raising Fear, tende a declamare ogni singola strofa. Per quanto non arrivi agli eccessi del Pelù della prim’ora, e ricerca sempre una certa teatralità. I volumi alti sul microfono deduco riassumano la volontà di porre l’accento sulla componente più estroversa del gruppo, o al limite di farne un effetto vagamente retrò, anche se, a dirla tutta, una simile stravaganza l’avremmo sopportata anche in tempi relativamente recenti, come all’esplosione del fenomeno brit pop, o perlomeno finché la questione loudness war non si fece insopportabile.

Foto Neranotte (Claudio Canneti)

Inutile fare la solita panoramica sui pezzi: quelli, lo dico sempre, vanno sentiti e giudicati singolarmente e non descritti in questa sede. I miei preferiti sono con tutta probabilità Chimera, Oltre lo schermo, Dentro il mare, con la title track quasi in chiusura a gestire ottimamente il suo relativamente lungo minutaggio (sette minuti e mezzo; in Controluce ricordo un pezzo che superava con abbondanza in dieci) presentandoci uno dei migliori assoli di chitarra dell’intero lotto.

Un piccolo appunto: le volte in cui l’heavy metal diventa preponderante si ha come la sensazione che una marcia in più sia lì, pronta per esser sfruttata. Non è l’attitudine, né la velocità o l’aggressività a fare la differenza, ma il tessuto ritmico. Un po’ come quando nei Litfiba c’era ancora Gianni Maroccolo e non Roberto Terzani, e quel basso pulsava come un dannato sulle ali della vecchia new wave. Non abbiate alcuna paura a tenere presente che è ancora la cosa che vi esce fuori meglio, anche se io sono di parte, e metallaro. (Marco Belardi)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...