Almanacco Gotico Italiano #1: di venti asfissianti, piogge acustiche e boschi sacri

Bollettino di informazione sul lato più oscuro delle uscite indipendenti nazionali.
Ci sta inaugurare una specie di rubrica. L’anno passato il numero di uscite italiane rilevanti è stato notevole, non solo nel metal tout court. Alcune ci sono pure sfuggite. Quest’anno cerchiamo di non farcene scappare troppe e quindi iniziamo subito con tre meste uscite freschissime e cupe. Che siano metal o meno non ce ne preoccupiamo troppo. Il riferimento nel nome della rubrica è, credo sia piuttosto ovvio, l’universo gotico padano richiamato da Pupi Avati. Un omaggio quindi, però con l’ambizione, andando a pescare tra le uscite underground della penisola, di ricostruire piano piano una geografia del suono (e non solo) oscuro più dettagliata e non limitata solamente alla grande palude settentrionale. Suono gotico, quindi, se mi passate la parola, ma da non intendersi in senso letterale o letterario. Semmai, se ci riesce, anche con una componente di folklore. Il nome poi, come l’idea, non è affatto originale. Ho appena scoperto che esiste anche una collana di fumetti praticamente omonima (Gotico Italiano, edizioni Horti di Giano). Insomma, come hanno provato a fare curatori ed autori del volume Almanacco dell’Orrore Popolare (edizioni Odoya), vediamo se ci riesce anche a noi col tempo di tracciare una mappatura della nostra musica (metal, ma non solo) più legata all’Oscuro, all’Inquietudine, all’Ancestrale, all’Incubo, all’Orrore ed a quello che nessuno può sperare di scampare.
Per iniziare una rubrica con queste premesse ed obiettivi, quale migliore inizio di Torino, città in cui si muove un trombettista jazz con nome da big dell’Ariston. RAMON MORO è colui di cui stiamo parlando, suona la tromba e la distorce con Marshall ed effetti. In pratica fa tutto lui, credo. Calima è il suo ultimo disco ed è anche il primo in cui si cimenta pure alla voce. Risultato spiazzante. In pratica scenari ambient scurissimi, ispirati all’isola di Lanzarote, alle sue lave ed al fenomeno che dà il nome al disco, un vento di scirocco rovente e carico di sabbia da oscurare il cielo. Soffi caldi e minacciosi di tromba su paesaggi elettrici e voci raw, quasi black metal. E non è un disco black metal. Nemmeno jazz. Forse siamo a tratti più su certe sperimentazioni drone, SunnO)), quel mondo lì. Trentadue minuti sono troppo pochi per correre il rischio di annoiare e più che sufficienti invece per incuriosire. La dimensione è cinematografica, da colonna sonora, insomma. Un po’ Michael Mann e un po’ Sergio Leone (eh, se c’è di mezzo una tromba io finisco sempre lì). Certi screzi sonori (Fighting a Losing Battle) fanno quasi pensare che da un momento all’altro debbano irrompere gli Zu a far macello. Invece no, Ramon Moro fa tutto da solo, mira al cuore e calca sul contrasto tra luce e ombra, silenzio e rumore. Disco interessante. Le parti declamate non sono irresistibili, ma disco interessante. Spaccia Diodrone.
Ottimo davvero pure l’esordio di Erika Azzini col none KÆRY ANN. tanto anni ’90 come anni ’10. Dream pop malinconico, desertico ed oscuro con vene gotiche e grunge. Songs Of Grace and Ruin si pone sulla scia tanto dei Mazzy Star quanto delle sirene odierne Chelsea Wolfe ed Emma Ruth Rundle. Tendenzialmente quieta, la musica non arriva comunque alla svenevolezza di una Marissa Nadler, molto apprezzata dai colleghi. Merito di arrangiamenti asciutti, americani. Sin dall’inizio buona la scrittura e la sicurezza, la personalità crescerà col tempo. Le basi ci sono e sono ottime. Se la prima parte del disco è fondamentalmente morbida e abbastanza convenzionale per il genere, la seconda azzarda di più, con increspature di grunge acido e accentuando il lato rock della desert music e dell’American gothic. Già, perché la dimensione è da subito internazionale, tanto nei riferimenti quanto nei risultati. Acoustic Rain è in questo perfetta. Un brano semplice, per melodie e struttura, ma scosso da una chitarra elettrica che scalcia e confonde. Vertice per me di disco che fa ben sperare per una carriera internazionale di Erika e dei suoi sodali. Promuove la tedesca Anomic Records.
Più o meno sulle stesse coordinate si muove in solitaria Julinko, nome d’arte della veneta Giulia Parin Zecchin (a breve in tour coi Messa). Questa però ora si è anche messa in combutta con altri musicisti del suo giro (Tristan da Cunha, The Star Pillow) per dare forma a un nuovo progetto, chissà se estemporaneo, dal nome BOSCO SACRO. In realtà la parola “forma” si presta poco. Gem sembra infatti il prodotto più di una jam (gioco di parole?) in cui la materia doom più atmosferica si compenetra con modalità e tensione trip hop. Niente elettronica, solo elettricità, comunque. Stratificazioni di chitarre post, bassi bassissimi, ritmica mesta ma incalzante. Oltre alle chitarre, Julinko alla voce giustifica i paragoni di nuovo con Emma Ruth Rundle. Ma nei sussurri inquietanti e negli squilli lo spettro dei possibili richiami si amplia, come Julie Christmas e Anna Von Hausswolf. Tra l’altro, l’organista svedese aveva anche intitolato un disco Sacro Bosco, col faccione di pietra di Bomarzo in copertina. Il gioco di richiami viene facile, e se riesco a pianificare quel giro della Tuscia che ho in mente da un bel po’ di tempo, tra altari etruschi, boschi oscuri e città abbandonate, la musica del Bosco Sacro potrebbe esserne colonna sonora ideale. Diffonde la benemerita Avantgarde Music, a partire dal 10 febbraio. (Lorenzo Centini)
fico, mo me li cerco.
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Grandi ragazzi, novità!
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