Avere vent’anni: AXIS OF ADVANCE – The List

Di tutti i gruppi black metal che hanno trattato tematiche legate a guerre, conflitti, bellicismi e via discorrendo, al punto da dare genesi a un sottogenere denominato per l’appunto war black metal, i canadesi Axis of Advance sono stati senza dubbio alcuno i più violenti, grazie all’indiscutibile capacità di mischiare un black frenetico e schizzato (che poi in seguito abbiamo potuto ritrovare in certa musica dei Portal, loro discepoli) con frammenti di death metal tecnico e con discrete quantità di grindcore, più precisamente del grindcore che possiamo ascoltare in Realm of Chaos dei Bolt Thrower, il quale nei solchi di The List trova continua ed apprezzata ospitalità.

Nati qualche anno prima come Sacramentary Abolishment (gruppo che suonava death/black metal tecnico arzigogolato e oscurissimo e autore di due CD, Rivers of Corticone e The Distracting Stone, entrambi piuttosto rari), dopo la scissione nacquero due entità: i Rites of thy Degringolade (black metal abbastanza classico, hanno pubblicato 4 album più uno split per l’appunto con i Portal) e gli Axis of Advance, più sperimentali e tendenti ad inglobare generi diversi purché violentissimi. Già Strike, il debutto dell’anno prima, aveva fatto intendere che la direzione musicale del nuovo gruppo portava verso territori dove l’unica cosa che regna sovrana è la brutalità senza alcuna speranza di salvezza; The List porta il livello di violenza ancora un po’ oltre. Nei trentaquattro minuti suddivisi in otto brani dai titoli abbastanza eloquenti tipo Annihilation, The Torture, Sacrifice o la distruttiva Massacrion le pause sono rare, i momenti meno tirati sono poco frequenti e ciò che predomina sono tempi forsennati, schizzati e frenetici che tolgono il respiro, ti sbattono in un campo di battaglia a calci nel culo e ti ci tengono fino a quando il disco finisce e c’è la tregua per raccogliere feriti e vittime. Non è un disco: è un assalto alla baionetta in campo aperto. Non c’è speranza di sopravvivere: sai già che morirai, e morirai male.

La colonna sonora di cotanto sfacelo l’hanno scritta gli Axis of Advance, uno dei gruppi più sottovalutati di tutti i tempi specie se consideriamo che il war black metal com’era inteso una ventina d’anni fa, quando muoveva i suoi primi passi, in pratica l’hanno inventato loro. Dispiace ancora maggiormente perché, per avere il successo che AoA Vermin e J. Read strameritavano, hanno dovuto formare i Revenge, questi sì riconosciuti a livello globale pur avendo un decimo del carisma, della creatività e della furia cieca che invece gli Axis of Advance hanno puntualmente sciorinato nei loro (pochi, troppo pochi) lavori. I Revenge sono war black metal scolastico, privo di particolari scossoni, e fa piuttosto incazzare sapere che dietro quelle canzoni nella media si celano due cervelli di prim’ordine che nemmeno la Osmose productions fu in grado di valorizzare come meritato. A questo The List successe poi il terzo ed ultimo full Obey, nel 2004, mastodontico esemplare di truce barbarica bestialità musicale, e l’EP Purify due anni dopo ancora, quando oramai i Revenge erano diventati il progetto principale per poter pagare le bollette e gli Axis of Advance solo un progetto da consegnare al passato senza eccessivi rimpianti… o forse sì, per quel che mi riguarda. Li ho adorati e li adoro ancora oggi, war black metal come il loro non ne ha mai scritto nessuno per manifesta inferiorità. The List è un disco che ha vent’anni e non è invecchiato di un solo giorno. (Griffar)

One comment

  • Metallaro scettico

    Questo per me esemplifica un po’ la parabola tragicamente discendente del metal degli ultimi 20 anni. Da quello che era un disco tutto sommato trascurabile (anche se può piacere o meno), è nato un “genere”. Dai Messhugah è nato il djent. Da 2 dischi dei Dissection il genere “cloni dei dissection”. E da alcuni dischi BM tutto il marasma di sottocategorie di sta ceppa. Poi per carità, i musicisti sono spesso bravi ed è bello che continuino a fare del metal piuttosto che la trap.
    Come ho scritto altrove però siamo passati dagli artisti agli artigiani.

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