Avere vent’anni: ARKONA – Nocturnal Arkonian Hordes

Il fatto è che se ci mettiamo a dissezionare in modalità “critico musicale so-tutto-io” questo Nocturnal Arkonian Hordes dei polacchi Arkona (da non confondere con gli omonimi russi, una band tra le più inutili mai ascoltate), loro terzo album ufficiale (che diventa il quarto se consideriamo come full il lungo demo An Eternal Curse of the Pagan Godz, uscito autoprodotto nel 1994 ma ristampato nel 1997 in CD da Folter records), di difetti ne troviamo più d’uno. La batteria è talmente triggerata che sembra elettronica (non lo è, se ne occupava tal Witchlord), spesso lanciata in un blast beat continuo, con pochissime variazioni anche quando i tempi rallentano da velocità omicida a velocità assurda o anche in rari casi a sezione cadenzata (ce ne sono poche, invero). Io ho sempre avuto il sospetto che la batteria fosse accelerata artificialmente in fase di mixaggio perché per lunghi tratti è disumana e si fatica a credere che qualcuno sia davvero in grado di suonare qualcosa di simile allo strumento. Poi rifare così smaccatamente il verso a Marduk, Dark Funeral o Emperor (il giro iniziale – poi reiterato – di No Blood in my Body credo vi ricorderà qualcosa), dopo che l’anno precedente i ragazzi avevano partorito quel discone della madonna che è Zeta Reticuli, un po’ di perplessità le suscita. Poi ancora: il suono delle chitarre è sì stridente e motosegoso come richiede la situazione, ma a tratti è troppo incasinato e stranamente poco incisivo, un po’ troppo compresso, come se fosse tenuto in sordina per evitare di suonare eccessivamente rumoroso. Probabilmente si è cercato di risaltare le melodie dei riff, perché con sonorità più fragorose forse l’effetto cupo ma gradevole si sarebbe perso, non so. Certo che il fatto che le (splendide) linee di basso a volte risaltino più della chitarra è quasi un unicum in tutta la storia del black metal, per lo meno nei dischi che ho ascoltato io, e sono parecchi. Volendo cercare proprio il pelo nell’uovo, le tastiere – poco frequenti ma comunque rilevanti – a tratti sembrano un po’ avulse dal contesto.

Tutto ciò premesso, e che il Nero Signore li abbia in gloria, Nocturnal Arkonian Hordes è uno dei più cazzuti capolavori che io abbia ascoltato in vita mia. Non c’è un solo riff che non sia ai massimi vertici del genere fast black metal, in molti casi di livello talmente alto che neanche i mostri sacri citati in precedenza si sono mai sognati di comporre. I primi quattro brani sono quattro calci nelle palle di lunghezza media che volano via come uno scroscio di temporale, solo che poi dopo il temporale non arriva la quiete bensì la tempesta: Abyss of the Frozen Ravenland dura dieci minuti ed è grandiosa dal primo all’ultimo secondo. Sembra arrangiata in modo scarno ma, per come è strutturata e per i suoi riff, è un accidenti di capolavoro che lascia senza fiato e senza parole, e chiunque volesse avventurarsi a trovargli dei difetti compositivi ne avrebbe di chilometri di specchi sui quali arrampicarsi. E poi c’è l’apoteosi finale: Looking for a Shadow of the Master, che di minuti ne dura oltre dieci ed è uno Stramaledetto Capolavoro ancora di più della precedente, con un riff che entra prepotente a metà canzone per accompagnarla fino al termine, ed è uno tra i più fantastici riff mai ascoltati in un disco black metal, un riff che ascoltato una volta ti rimane in testa sinché vivi, un riff che, se esistesse una scuola di black metal, dovrebbe essere suonato ogni mattina all’entrata degli alunni come fosse un fottuto inno nazionale. Il preside dovrebbe poi arringare gli alunni dicendo qualcosa del tipo: “Se arrivaste a scrivere un riff che vale anche solo la metà di questo potrete considerarvi Artisti”.

La verità è che Nocturnal Arkonian Hordes è uno dei dischi della vita, uno di quelli che ti porteresti sulla famosa isola deserta casomai qualche idiota decidesse di lanciare qualche bomba di quelle sbagliate, ed è meraviglioso proprio perché, oltre ai suoi innumerevoli pregi in fase di composizione ed arrangiamento, ha anche i difetti sopraelencati per quanto riguarda la scelta dei suoni e la produzione, l’assoluta indifferenza della propria mancanza di originalità e un’apparente trasandatezza. Il fatto è che non riesco ad immaginarmelo con suoni differenti, o con brani differenti più tecnici o più vari  o più quello-che-volete. L’album dura 42 minuti e sono i migliori 42 minuti che potete impiegare nella vostra giornata. Io sono arrivato ad ascoltarlo dieci volte al giorno in passato e lo so talmente tanto a memoria che mi fischietto i brani man mano che il lettore li riproduce, ma su Looking for a Shadow of the Master tutto termina, e ho solo bisogno di distruggere qualcosa, qualsiasi cosa. In una scala da uno a dieci qui siamo ben oltre l’undici. Fondamentali, punto. Per aspera ad astra. (Griffar)

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