Avere vent’anni: ARKONA – Zeta Reticuli

Questo disco uscì ufficialmente nel maggio del 2001, ma in realtà fu registrato molto tempo prima, praticamente subito dopo il debut Impergium del 1996. Venne tenuto in sospeso sinché ne venne pubblicata un’advance tape con la metà dei brani qualche anno dopo, nel ’99, per la Pussy God records, perché Folter records fin da subito aveva deciso di non pubblicare il disco nella sua forma completa; il che, ovviamente, scazzò non poco la band. Folter è l’etichetta che ristampò in un unico CD i due demo d’inizio carriera degli Arkona, Bogowie zapomnienia e An Eternal Curse of the Pagan Gods, contribuendo non poco a portare questi polacchi sotto i riflettori. Solo che il loro modo estremo di porsi verso il mondo, il considerarsi praticamente una setta e l’avere contatti con una scena molto propensa ad abbracciare idee politiche di estrema destra, fece ritirare l’etichetta tedesca dal progetto per evitare casini, visto che nei primi 2000 la polizia politica in Germania faceva tabula rasa di tutto quanto avesse reminiscenze del Terzo Reich anche solo per sentito dire. Ne sa qualcosa Darker Than Black. Tra gli altri.
Ci vollero infine altri due anni per vedere finalmente realizzato il follow-up del già eccellente Impergium, così Zeta Reticuli venne alla luce com’era stato pensato all’origine per la neonata etichetta boema Eclipse productions, attiva in una zona geografica molto meno compromessa in ambito politico.
In realtà, il titolo completo dell’album è Zeta Reticuli: A Tale About Hatred and Total Enslavement e vive letteralmente sul significato di questo. Avere i testi in prosa e non in versi, come fosse l’enunciazione dello statuto di una qualche organizzazione occulta devota al Male, oltre al cantato in lingua madre, arricchisce la particolarità di un album che incarna pari pari l’attitudine del black metal di metà anni ’90, dove l’unica cosa importante, l’unica cosa che veramente contava era cercare di vomitare fuori dalle casse dello stereo quanto più odio, risentimento, rancore, rabbia e disgusto possibile. Tanti saluti al politicamente corretto e al buonismo della minchia, qui non c’è spazio per nulla di diverso dalla glorificazione di quanto viene considerato disgustoso dall’umanità generica fin dalla notte dei tempi. La recensione potrebbe finire qui, perché i sette brani sono un unico assalto all’arma bianca che praticamente non ha cedimenti nel corso dei suoi 42 minuti, un blast continuo di chitarre zanzarose, basso minimale e batteria sparata a mille in pura tradizione nordica. Se i brani fossero stati venti non sarebbe cambiato nulla, avremmo solo avuto un disco molto più lungo con 20 pezzi immortali anziché solo 7, perché gli Arkona suonano così da sempre e non hanno mai cambiato di una virgola la loro attitudine di puro odio. Odio che si sente benissimo in ogni nota di ogni singolo pastoso riff e nelle vocals in screaming “parlato” che accentuano il feeling malvagio e demoniaco dell’intero lavoro.
Il disco va ascoltato per intero, tutto di un fiato. Per quanto mi riguarda lo so praticamente a memoria, perché per me fu il disco dell’anno 2001. E non lo rinnego, né mai lo farò. È vero, la registrazione fa abbastanza cacare, la voce è mixata bassa, la produzione è inesistente, gli arrangiamenti nulli. Un assalto frontale con qualche sezione appena appena più meditata e qualche sample di criptica origine, ma il 90% del disco è puro, totale, graveolente black metal della vecchia scuola. Una caratteristica che difetta a gran parte del black metal dei tempi odierni: i gruppi suonano meglio, i dischi vengono registrati meglio e curati meglio, e sono moltissime volte anche dei gran dischi. Il feeling nero, nerissimo di Zeta Reticuli però, tranne casi non così frequenti, se lo scordano. (Griffar)