Olandesi volanti: THE BARROW DOWNS – Galster

Avevo già parlato dell’esordio degli olandesi The Barrow Downs l’anno scorso, quando uscì la loro primo demo Gondvaan. Un bel debutto, in parte influenzato dai vecchi Summoning, con parecchio dungeon synth a far capolino tra quelle partiture black metal epico/melodiche coinvolgenti e appassionate di cui nel Regno Unito stanno diventando maestri, grazie a pezzi da novanta come Fen, Arx Atrata, Winterfylleth, Deadwood Lake e altri. In questa nuova opera l’influenza dei Summoning quasi sparisce ma non lo consideriamo un difetto, tutt’altro: è ottimo evolversi e cercare una propria strada senza rimanere attaccati a fonti di ispirazione indubbiamente autorevoli ma limitanti.
Sospetto che le composizioni nascano prevalentemente al synth e poi vengano integrate le partiture di chitarra, basso, batteria e voce, perché in tutti i pezzi sono presenti sezioni di soli sintetizzatori, sia in quelli di 10 o più minuti (cioè tre casi su sette) sia nei più brevi, quasi da considerare come intermezzi (Beenderhook ad esempio, che segue la opener da oltre tredici minuti Steen der Doden e precede la poco più breve Dwalend in de Moerassen de Namlooze Zielen). Da notare che i tre pezzi più lunghi (il terzo è Duisternis, undici minuti e 40”) vengono proposti sia nella versione ibrida black metal/dungeon synth sia in versione elettronica pura e semplice. Ciò fa pensare che il duo composto da TRGR e Diedschader (che si dividono voci, tastiere e chitarre, poi uno suona anche il basso e l’altro la batteria) abbia più a cuore il secondo aspetto della questione. Tuttavia, quando si mettono a spingere sul black metal hanno un piglio davvero notevole: un che di catastrofico si aggira nelle partiture, una sensazione di tragedia imminente, di arcigna sventura ineluttabilmente destinata a colpire, e colpire duro.
La prima parte di Galster è assai simile a quello space black metal che sta riscuotendo discreto successo tra chi non apprezza più di tanto gli estremismi autodistruttivi del raw black metal ma comunque gradisce che, in contesti apertamente melodici ed atmosferici, intervenga un po’ di grinta che ogni tanto arriva anche al blast beat. Un approccio che si aggancia a quello che si usa definire black sinfonico, anche se le partiture sono meno ridondanti, meno barocche e assolutamente meno tecniche e le voci molto meno estreme di quanto si è soliti ascoltare in dischi di questo tipo. Se consideriamo i Cradle of Filth black sinfonico e sentiamo quanto si sgola Dani, ad esempio, qui l’impostazione è completamente diversa, più catarrosa, più oscura, molto più riverberata.
Insomma, i The Barrow Downs stanno cercando un trait d’union tra il symphonic black, lo space, il post-black e il dungeon synth, e Galster inquadra l’obiettivo al 100%. Ciò premesso, l’album nella sua completezza dura un’ora e mezza e, specialmente nella parte finale che contiene le tre suite in versione puramente elettronica, risulta un po’ pesante; a meno che non andiate matti per il dungeon synth, perché in questo caso sarà molto probabilmente quella la frazione che preferirete (io, come ben immaginerete, li prediligo quando si scatenano). Nel complesso Galster è nondimeno meritevole di attenzione, in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico anche vasto. Se vi piace l’idea, in edizione fisica esiste una cassetta uscita per la Helhallen prod., tedesca, in una sontuosa edizione limitata come sempre a 50 sparute copie. Che minchiata. Secondo me, però, faranno carriera i ragazzi. (Griffar)