Avere vent’anni: RHAPSODY – Rain of a Thousand Flames

Barg: Rain of a Thousand Flames fu all’epoca venduto come EP, ma in realtà non lo è manco per niente, dato che sfiora i tre quarti d’ora di durata. Continua però a essere considerato tale, nonostante per l’appunto non lo sia, a causa del suo carattere di uscita intrinsecamente minore. Di fatto l’album è idealmente suddiviso in due parti: l’omonima e tutto il resto. Rain of a Thousand Flames (la canzone), che peraltro è la più breve del lotto, fa storia a sé perché è il classico singolone che scrivevano i Rhapsody all’epoca, in stile Holy Thunderforce e via dicendo; assai più violenta della media, soprattutto grazie alla terremotante e tellurica prestazione di Alex Holzwarth, la canzone sembra fare da cesura tra la prima parte della discografia e la seconda, più cupa e cerebrale. Da antologia il video, con una prestazione attoriale di Luca Turilli che manco Alberto Tomba in Alex l’Ariete. Il resto del disco è incredibilmente farraginoso, come se avessero voluto accatastarvi tutte le idee orchestrali e sinfoniche lasciate fuori da Dawn of Victory e rimaste nel cassetto. Molto pregevole Queen of the Dark Horizons, i cui tredici minuti abbondanti sono sorretti dal tema di Phenomena di Dario Argento; il resto del disco è trascurabile al punto che, pur avendolo io sentito parecchie volte, ne ricordo a stento qualche passaggio. Tutto molto professionale e curato, come al loro solito, ma onestamente l’ascolto si potrebbe fermare alle due tracce suddette, che comunque da sole valgono il prezzo della giostra. Come curiosità, tra i coristi dell’album c’è nientemeno che Tobias Sammet.

Facce serie e sobrietà

L’Azzeccagarbugli: I primi cinque dischi dei Rhapsody (compreso questo EP) dovrebbero essere dichiarati patrimonio UNESCO e “il virile profilo stentoreo di Luca Turilli dovrebbe essere impresso su tutte le monetine in circolazione” (cit.). Anche i dischi successivi sono assolutamente di rilievo, indipendentemente dalle incarnazioni della band, vedi l’ultimo, davvero ottimo, album degli Staropoli of Fire. Ma nulla di paragonabile a quei dischi lì.

Probabilmente perché quando è uscito il primo Rhapsody avevo 13 anni, oppure perché Power of The Dragonflame è uno dei primi dischi che ho messo su quando mi sono trasferito a Roma, o perché ho acquistato la copia di Rain of Thousand Flames – versione popup – da Luca Arioli (hail!) in una delle prime uscite con gli sgherri di Metal Shock, ma quei Rhapsody lì per me sono davvero qualcosa di unico. E Rain of a Thousand Flames, EP dall’importante durata di 42 minuti, si pone al centro di quella fase della carriera dei nostri, ripartendo dalle atmosfere più dure del precedente, strepitoso, Dawn of Victory e anticipando la svolta più “massimalista” che sarebbe arrivata con Symphony II.

Non c’è una nota di troppo in questo EP, a partire dall’attacco a dir poco esaltante della titletrack, con una delle migliori prove di Fabio Lione in assoluto, soprattutto sul passaggio che arriva dopo il break centrale, con la doppia cassa che va 300 all’ora (Lament of heroes reach the deep skies / fill the wide cosmos and free my pain… my pain!). Queen of the Dark Horizons è tra i migliori pezzi della band, un brano “tragico”, perfettamente costruito e dopo aver rimesso su il disco dopo un bel po’ di tempo non posso fare a meno di andare in giro canticchiando “RO-SA NE-RA SU-SSU-RRA-NTE PIANGE IL SA-NGUE DI INNO-CENZA!”, mentre la successiva suite Rhymes of a Tragic Poem – The Gothic Saga consente a Staropoli e Turilli di dare sfogo alla componente più “operistica” della band, con picchi davvero notevoli che chiude un disco che non è invecchiato di un giorno e che è ancora capace di emozionare anche dopo tutti questi anni.

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