RHAPSODY OF FIRE – Glory for Salvation

Il precedente The Eighth Mountain aveva segnato una specie di nuovo inizio per Alex Staropoli e i suoi Rhapsody of Fire. Da un lato l’assestamento della nuova formazione, ormai stabile con gli ingressi soprattutto di Giacomo Voli alla voce e Roberto De Micheli alla chitarra, già in lineup da qualche anno; dall’altro un cambio di direzione stilistica, con la voglia di ritornare a quell’atteggiamento più spensierato dei primi album e, in definitiva, alla forma-canzone.
Già, perché la prima fase dei Rhapsody of Staropoli seguiva la scia segnata dall’ultima fase dei Rhapsody “interi” (quelli con Staropoli-Turilli-Lione), quindi una tendenza al disco-polpettone con atmosfere oscure e composizioni complesse, strutturato per accumulo e abbastanza complicato da digerire. Dischi quasi sempre apprezzabili, ma che si allontanavano sempre più dall’essenza originale dei Rhapsody, quella che li aveva resi famosi, coi ritornelli da cantare in coro tutti abbracciati e i ritmi zumpappero da sbronza collettiva all’osteria del bosco dei folletti. Sia detto ovviamente con tutto l’amore possibile: del resto il mio album preferito dei Rhapsody rimane Dawn of Victory, quello più semplice e allegrotto della loro discografia, quindi un ritorno a quell’approccio non può che farmi piacere.
Glory for Salvation, in questo senso, è l’apoteosi dell’essenza dei Rhapsody aggiornata all’anno 2021. Alex Staropoli dovrebbe andarne seriamente fiero. È canticchiabile dall’inizio alla fine e contemporaneamente ha una cura maniacale degli arrangiamenti e dei suoni che difficilmente si può rintracciare nel metal, contemporaneo o meno. Manca totalmente di quelle parti sbrodolone che appesantivano i dischi della band fino a qualche anno fa: ogni pezzo va dritto al punto, ha una melodia ben definita, è bilanciato in ogni sua parte eppure non è mai banale, impreziosito com’è da quell’attenzione per la costruzione verticale che caratterizza la composizione di Staropoli. Prima ho parlato di Dawn of Victory, che però era molto più lineare e semplice negli arrangiamenti: Glory for Salvation invece è una gioia per le orecchie da sentire in cuffia per apprezzarne ogni singola sfumatura, e ad ogni ascolto si scopre qualcosa di nuovo, un dettaglio, un’armonizzazione, un particolare più o meno nascosto.
Questo nuovo inizio di cui si diceva è poi stato gestito da Staropoli nel migliore dei modi, col reclutamento di componenti direttamente di Trieste o giù di lì, che rende il gruppo affiatato e semplice da gestire. Roberto De Micheli è l’unico sostituto possibile di Luca Turilli, essendo lui un membro fondatore dei Rhapsody; Giacomo Voli, lo abbiamo già detto e ripetuto, è un cantante fenomenale al punto che suppongo Staropoli sia andato a piedi scalzi fino alla Madonna di Lourdes per ringraziare di averlo trovato; e gli altri due fanno quello che devono fare. Alla batteria è arrivato Paolo Marchesich (già nei Sinestesia insieme a De Micheli e al bassista Alessandro Sala), che completa il cerchio restituendo la patente di perfetta triestinità al gruppo: certo non sarà Alex Holzwarth, ma neanche Daniele Carbonera, ecco.
Essendo Glory for Salvation (finalmente!) un disco di canzoni, non posso esimermi dal citare quantomeno l’omonima, particolarmente riuscita con quel coro che rincorre Voli nel ritornello; ma il disco è tutto solido, compatto e senza sbavature, e l’ora abbondante di durata scorre via liscia. Nell’ultimo venticinquennio sono molti ad aver provato a suonare come i Rhapsody, e magari alcuni hanno provato ad ampliare e migliorare il discorso; ma gli originali continuano ad avere quella marcia in più che li rende tuttora unici. Personalmente non avrei mai osato sperare che nel 2021 Staropoli riuscisse a uscirsene con un disco del livello di Glory for Salvation, ma così è stato, e ce ne ricorderemo alle prossime playlist. (barg)