EVIL GENIUS, la vera storia della rapina più diabolica d’America

Se questa storia fosse un film sarebbe l’esordio di un regista squattrinato ed eroinomane, di quelli che si iniettano la roba direttamente sul glande. Un guazzabuglio di fenomeni da baraccone buttati lì a caso, aneddoti inverosimili sconnessi tra loro ed assurdità totalmente prive di ogni logica. Il bello è che non stiamo parlando della trama di una pellicola a basso costo, ma della realtà dei fatti di uno dei più incredibili episodi di cronaca nera di tutti i tempi. Raccontarlo nei dettagli è un’impresa ardua, direi quasi impossibile, ma Evil Genius: la vera storia della rapina più diabolica d’America, la docuserie di Netflix del 2018, ci riesce abbastanza bene.

Nella tarda mattinata del 28 agosto 2003 la pizzeria Mama Mia di Erie, una cittadina della Pennsylvania (USA), riceve una chiamata. È un cliente che vuole delle pizze a domicilio. Il titolare del locale non capisce bene le parole della persona che è dall’altro capo della cornetta e passa quindi il telefono ad un suo fattorino, Brian Wells, il quale raccoglie l’ordinazione senza problemi di sorta e, dopo una manciata di minuti, parte per effettuare la consegna nei pressi di una vecchia stazione televisiva dismessa, distante sei chilometri dalla pizzeria. Circa un’ora dopo Wells entra nella sede della più importante banca della città, la PNC Bank, indossando una maglietta bianca con la scritta “Guess?” (“Indovina?”) sulla parte frontale, fatta con un pennarello nero. Ha un grosso rigonfiamento all’altezza dello sterno, uno sul collo ed un altro ancora, meno visibile, sulla schiena. È evidente che abbia qualcosa sotto la t-shirt. Nessun dipendente della banca ha ordinato una pizza. Cammina con l’aiuto di un bastone da passeggio, anche se non ha problemi fisici di alcun tipo. Non gli serve per aiutarsi a deambulare, ma per sparare, perché quello strano manufatto è un’arma artigianale: al suo interno qualcuno ha occultato una pistola.

Inizialmente Brian Wells attende il suo turno come un normale cliente, ma dopo qualche minuto salta la fila e consegna un foglio ad una dipendente della banca. Ci sono delle istruzioni, scritte a mano in un libresco ed asettico stampatello, in cui si avvisa l’impiegato di turno che l’uomo lì presente ha un collare-bomba impossibile da rimuovere ed un’arma da fuoco e che, se non gli verranno consegnati 250.000 dollari entro quindici minuti, la banca diventerà un inferno di sangue, fiamme, detriti e budella. L’addetta spiega a Wells che il caveau in cui sono custoditi i contanti è controllato da un timer: si aprirà automaticamente dopo trenta minuti esatti a partire da quel momento e nessuno è in grado di attivarlo prima, ma può eventualmente consegnargli tutto ciò che ha in cassa: 8000 dollari. Brian accetta, prende i soldi e va via. Un altro impiegato, che ha assistito alla scena sin dall’inizio, ha già allertato la polizia e così, quando Wells esce dall’edificio, viene quasi subito circondato da un plotone di sbirri con le pistole spianate. Si arrende immediatamente senza opporre resistenza e viene ammanettato. Racconta ai poliziotti che un’ora prima degli afroamericani lo hanno costretto ad indossare quel collare che esploderà di lì a breve.

Wells in banca

Gli agenti lo fanno sedere sull’asfalto, ovviamente mentre è ancora ammanettato, e chiamano gli artificieri. In quel lasso di tempo Brian Wells chiede più volte a gran voce che gli venga tolto il pesante marchingegno che lo imprigiona. Nessuno fa niente: pensano tutti che sia una farsa, ma nel dubbio lo tengono lì, isolato e guardato a vista, in attesa degli esperti che analizzeranno ed eventualmente disinnescheranno il presunto ordigno che avvolge il collo e parte del busto del  rapinatore. Ad un certo punto, mentre Wells continua a chiedere agli agenti di liberarlo… BOOM! Il collare esplode ammazzando il poveraccio sul colpo. Gli artificieri arrivano tre minuti dopo la detonazione. Ma chi è questo tizio e, soprattutto, cosa è successo quando è andato a consegnare le pizze?Brian Wells ha quarantasei anni al momento del suo violento trapasso. È nato e cresciuto a Warren, una piccola cittadina della Pennsylvania non lontana da Erie. La sua è una famiglia modesta e tranquilla. A sedici anni abbandona la scuola superiore e va a fare l’apprendista in un’officina. Da quel periodo in poi svolgerà diversi altri mestieri, tutti umili ma sempre onesti, sino all’ultimo: fare le consegne a domicilio per conto della pizzeria “Mama Mia”. Non si è mai sposato, non ha figli e vive da solo in un monolocale. La sua pacifica esistenza è facilmente riassumibile: lavora, quando può va a trovare l’anziana madre, vedova da oltre dieci anni, che talvolta accompagna a fare delle visite mediche alternandosi con i suoi fratelli, fa la spesa e poi torna a casa. Non ha la faccia sveglia, per usare un eufemismo, e dimostra una decina di anni in più rispetto a quelli che effettivamente ha. Non ha amici con cui uscire e svagarsi, né storie d’amore o tresche. Ogni tanto va con delle prostitute: è questo l’unico “extra” che saltuariamente si concede. La sua vita è tutta qui: un terrificante concentrato di infimo piattume. Brian Wells, insomma, è sempre stato una vera e propria nullità. Una specie di fesso del quartiere o poco più.

 

Gli investigatori hanno due punti sui quali lavorare: il collare esplosivo, per buona parte rimasto intatto, e la vita del fattorino deceduto. L’ordigno viene recuperato dagli esperti e scandagliato nei minimi dettagli: un iter lungo e complesso. La misera esistenza di Wells, invece, è facile da sviscerare. L’unica persona con cui non ha vincoli di parentela che pare essergli in qualche modo vicina è un suo collega di lavoro, Robert Pinetti. La polizia decide di sentirlo e fissa come data dell’interrogatorio il 1º Settembre, ma il giorno precedente, il 31 agosto del 2003, Pinetti stira le zampe: un mix di farmaci e stupefacenti lo manda in overdose. La sua morte viene archiviata come accidentale e tanti saluti.

Parte del collare esplosivo

Il collare esplosivo viene analizzato a fondo. Si tratta di un ordigno artigianale, fatto quindi “in casa” con materiali riciclati: l’acciaio è stato preso da altri oggetti metallici, fuso e poi modellato in quel modo: è sostanzialmente un’enorme manetta che ha sul retro una sorta di piccolo “schienale”. I fili elettrici usati per fare i collegamenti interni sono quasi tutti diversi: è palese che il costruttore abbia utilizzato della cavetteria che aveva già a disposizione, evitando volutamente di acquistarla in un negozio appositamente per l’occasione, molto probabilmente per non destare sospetti e/o per non lasciare eventuali tracce. Anche i timer sono riciclati: sono stati presi da due dispositivi elettronici, quasi sicuramente dei forni a microonde. Salta all’occhio un biglietto attaccato sulla parte frontale dell’ordigno, rimasta quasi del tutto integra dopo la deflagrazione. Lo stile è lo stesso delle istruzioni consegnate all’impiegata della banca ed è anche identico a quello utilizzato per stilare altri “fogli illustrativi” ritrovati nell’auto di Wells, nei quali la stessa mano aveva dettagliatamente spiegato per iscritto a Brian cosa avrebbe dovuto fare una volta uscito dalla banca con i soldi. Nel suddetto biglietto l’ideatore si rivolge alle forze dell’ordine: scrive che la bomba è quasi impossibile da disinnescare e sfida chiunque a provarci, concludendo il tutto con un laconico Act now, think later or you will die!” (“Agisci ora, pensa dopo o morirai!”).

 

È vero: l’interno del collare è pieno di falsi collegamenti, cioè cavi non connessi a nulla, messi lì solo per far perdere tempo prezioso alle forze dell’ordine. Si stabilisce che i minuti impostati per l’esplosione quasi certamente non sarebbero stati sufficienti agli artificieri per destreggiarsi in quel labirinto di cavi. Brian Wells, in sostanza, era destinato a morire in ogni caso, anche se avesse seguito le istruzioni che aveva in auto. Il percorso che avrebbe dovuto fare per trovare gli altri indizi – tipo caccia al tesoro – ed arrivare quindi al luogo stabilito per consegnare i soldi agli organizzatori della rapina è volutamente lungo e tortuoso: sarebbe saltato in aria prima di giungere alla meta finale. Si ipotizza che qualcuno lo stesse seguendo sia per controllarlo sia per recuperare il denaro dopo la sua inevitabile morte.

Della gente nota un furgone vicino al luogo del misfatto e si insospettisce: è lì fermo da tempo, ma quando la bomba esplode sparisce immediatamente. C’entra qualcosa? Non si sa. Gli investigatori si ritrovano in un vicolo cieco. Il caso viene ribattezzato Pizza bomber.

Rothstein, Marjorie, Barnes

 

Il 20 settembre 2003, a meno di un mese dall’assurda morte di Wells, il Commissariato di Erie riceve una telefonata. Un uomo, tale Bill Rothstein, dichiara di avere un cadavere nel congelatore del suo garage. Non l’ha ammazzato lui, ma una sua amica, Marjorie Diehl-Armstrong, che gli ha poi chiesto di aiutarla a disfarsi del corpo. Il morto è James Roden, il fidanzato della donna. Prosegue spiegando al suo interlocutore il luogo esatto in cui trovare il cadavere congelato e poi riattacca. Chi sono queste persone e cosa c’entra questo omicidio con la morte di Wells?

Chi è arrivato sin qui avrà pensato che guardare il documentario non abbia più senso perché ho già spoilerato praticamente tutto o quasi. E invece no: è soltanto l’inizio di questa vicenda incredibile.

Rothstein e Marjorie da giovani

Evil Genius: la vera storia della rapina più diabolica d’America è il frutto del lavoro certosino di Trey Borzillieri, un attore/regista che, estremamente colpito dal caso del Pizza bomber, ha dedicato anni a svolgere una sorta di “indagine parallela”, intervistando gli abitanti di Erie, alcuni protagonisti della vicenda ed anche diversi loro parenti/conoscenti, molti agenti di polizia che avevano indagato sulla pazzesca fine di Brian Wells e chi più ne ha più ne metta, sino ad arrivare addirittura a stringere una sorta di “rapporto di amicizia” con una delle persone presumibilmente coinvolte, mentre era detenuta per altri reati, riuscendo a carpire miriadi di informazioni utili.

Nelle quattro parti (della durata media di circa 50 minuti l’una) della docuserie l’intricatissimo caso del Pizza bomber viene raccontato nei minimi dettagli. Il quadro finale è quasi destabilizzante, perché si viene letteralmente proiettati in un universo parallelo fatto di bugie, sotterfugi, squilibri mentali, morte, sangue, sociopatia, vendette, inettitudine, disagio, depravazione, follia e degrado.

I principali protagonisti della vicenda

I personaggi  coinvolti sono praticamente tutti oltre ogni immaginazione. Sono in buona parte dei grotteschi e ripugnanti reietti, quasi repellenti nella loro brutale disumanità. In generale tutta la storia, a metà strada tra Ettore Scola, Quentin Tarantino e David Lynch, lascia interdetti, perché oltre ad essere incredibilmente inverosimile è nel contempo assolutamente reale. Una sorta di ossimoro che ti fa esplodere la testa.

Evil Genius: la vera storia della rapina più diabolica d’America, tra un colpo di scena e l’altro, ti incolla allo schermo e alla fine ti lascia anche con qualche interrogativo in sospeso: nonostante l’accuratezza del racconto, quella del Pizza bomber rimane comunque la vicenda criminale più allucinante ed arzigogolata di sempre. Se vi siete fatti un’idea dopo aver letto queste righe, sappiate che sarà sicuramente lontanissima dalla realtà dei fatti. Se le mie parole vi hanno incuriosito anche soltanto un minimo, armatevi di tempo (poco meno di quattro ore) ed attenzione (la storia è un pazzesco groviglio di eventi sparsi, personaggi da b-movie ed assurdità di ogni risma) e sparatevi il documentario tutto d’un fiato. (Il Messicano)

 

One comment

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...