CRAVEN IDOL – Forked Tongues

La dirompente cacofonia che apre Forked Tongues introduce il loro album più violento e privo di compromessi. La realtà è che i Craven Idol, londinesi e capitanati da quindici anni da un tale che si firma Immolator of Sadistik Wrath, sono una band in costante evoluzione. E Forked Tongues è con certezza la loro uscita più battagliera, ma anche la più bilanciata e ragionata.
Originariamente alle prese con un black metal a tinte thrash, con The Shackles of Mammon i Craven Idol avevano ribaltato la situazione, lasciando che riff alla Razor of Occam si prendessero tutta la torta dopo esser partiti da una piccola fetta. In mezzo c’era molto altro, e la sola The Trudge non poteva non far ripensare ai Bathory della svolta (Blood Fire Death e i titoli immediatamente a ridosso, se occorresse specificarlo). Prendete ora il black metal, l’epicità e il thrash vecchia scuola e invertite un’altra volta il peso e la rilevanza di ciascuno di essi. Avrete Forked Tongues, che non corrisponde affatto all’irruenza illusoria e incontrollata tenuta in calce a Venomous Rites. I Bathory fanno ancora capolino in Even the Demons – e, aggiungo, non solo lì – ma non caratterizzano il brano, che si riallaccia invece ai Darkthrone di The Cult is Alive e F.O.A.D. Inutile, a questo punto, dirvi che ho una propensione spasmodica per Even the Demons. Il riferimento principe è tuttavia, ancora una volta, l’Australia delle sue creature più rozze (ricorderei in tal proposito gli storici Hobbs Angel of Death ed i Bestial Warlust da Melbourne). In particolar modo ciò che distingue Forked Tongues dai primi due lavori, lungi dall’essere una banale inversione degli addendi, è il suo ardente piglio battagliero, con chitarre melodiche in piena tradizione black metal eppur rumorosissime, sopra le righe, sovrastanti, sempre e comunque protagoniste. E quella è la firma dei Destroyer 666 di K.K. Warslut, nient’altro.
Ancora non ho compreso se preferisco The Shackles of Mammon o il qui presente album, entrambi titoli d’ottima fattura che ho metabolizzato piuttosto in fretta. Sono caratterizzati da un’anima diversa, e sceglierò il precedente se in cerca di riff, di stile, di riferimenti ottantiani, per preferirgli poi Forked Tongues una volta all’inseguimento di uno di quegli album da inghiottire e digerire d’un fiato, con la stessa furia che caratterizza ogni sua nota – finale escluso. Forked Tongues è una roba solo apparentemente fuori controllo, e, nonostante questo, si concede il lusso di dedicare nove minuti di durata a ciascuna delle ultime due canzoni della scaletta, Deify the Stormgod e The Gods Have Left us for Dead, laddove l’epicità a firma Bathory non introduce, non sovrasta, ma affianca il loro stile per non lasciarlo più. La coda dell’album è il motivo per il quale sarà impossibile definirlo un monotono monoblocco alla Panzer Division Marduk (occhi a forma di cuore ogni qualvolta sento i loro detrattori definirlo in codesta maniera). Adoro questo album, un tiro da cecchino, una trionfale musica da accompagnare eventi altrettanto trionfali come la festante lettura del declassamento dell’insopportabile Varriale da vicedirettore RaiSport. Curioso, e beffardo, che ci sia un gentiluomo londinese come Immolator of Sadistik Wrath di sottofondo a una simile notizia.
E probabilmente questo Forked Tongues lo collocherò da qualche parte nella poll di fine anno, con la curiosità – già crescente – di comprendere al più presto dove andranno a parare alla prossima fucilata. E per ora non ne hanno voluta sbagliare una, capito, bellafiha d’un Immolator of Sadistik Wrath? (Marco Belardi)
Forked Tongues è un disco densissimo, intenso, veloce, complesso ed estremo in molti aspetti, però allo stesso tempo molto è ascoltabile, ovviamente per chi ama il genere, grazie al tiro inarrestabile che mostra dall’inizio alla fine. Direi che dal loro primo EP del 2011 questo lavoro sia di certo il più maturo e il più completo. Disco che non ci dimenticheremo facilmente.
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