A perdifiato verso gli inferi: RIIVAUS – Hehkumaton

Risale già a cinque anni fa Lyöden taudein ja kirouksin, debutto dell’one-man project Riivaus, un più che buon album di classico black metal finlandese, influenzato dai classici grandi nomi tipo Horna, Sargeist, Behexen e via elencando, che però aggiungeva al proprio sound qualche stralcio di musica meno sparata a mille all’ora e un po’ più meditata. Passato ordunque qualche tempo e cambiata etichetta (da Wolfspell a Purity Through Fire, la quale, come ho già fatto notare, è una garanzia di qualità), il nostro Hoath Daemnator, artefice unico del progetto, ritorna con un nuovo album, ed è normale che ci siano voluti anni, vista la presenza dello stesso in almeno altre dieci band o side-project o quel che sono.
Un disco piuttosto breve, che contiene sette brani per trentuno minuti di musica appena. Fin dalla prima Alkukaaos, la più corta (meno di due minuti) e probabilmente la più lenta di tutte (ma grazie a dio non la solita inutile intro che nulla aggiunge al valore musicale dell’opera), si intuisce che le parti più meditate dell’esordio ci saranno poco oppure non ci saranno affatto. Difatti gli altri sei pezzi fanno riferimento in modo più marcato al classico finnish black metal sound oscuro, maligno e cattivissimo che ha reso celebri decine di gruppi, perché i finlandesi il black metal lo suonano così. C’è poco da fare, lo stile è quello e gli viene innegabilmente assai bene. Anche Hehkumaton è tutto impostato su riff di chitarra monocorde che sparano aghi di ghiaccio sotto forma di onde sonore, anche se qui ci si concede qualche riff più cadenzato e punkettone ad accordi aperti. Un po’ come avevano fatto gli Azaghal nei primi tempi, quando, anziché barcamenarsi come si faceva in Norvegia con qualcosa di simile al thrash suonato alla cazzo di cane per diversificare i pezzi e poter piacere a tutti, si cautelavano con stacchi analoghi a quelli che in questo album ripropone Riivaus e con riff da moshpit che rendono meno monocorde la struttura del brano, facendoti nel frattempo tenere il tempo col piede e scuotere la testa con soddisfazione.
La title track, per esempio, inizia in questo modo, sovrapponendoci anche un riff stoppato quasi arpeggiato portato avanti per circa metà brano (è il più lungo, sei minuti e mezzo) prima di scatenare nuovamente le forze dei venti del Nord. Così pure la conclusiva Katarsis, prima di lanciarsi a perdifiato verso gli inferi, usa lo stesso schema: partenza mid tempo/riff armonico stoppato/terrorismo sonoro. Funziona bene, punto. Serve a rendere più riconoscibili i pezzi, ed è anche per questo che il disco risulta più snello ed aggressivo anche se non è tutto suonato a mille all’ora, cosa che a volte può risultare stucchevole. Tecnicamente Hoath Daemnator non è un fenomeno, però, per quel che propone, non svariona né fa la figura dell’incapace, e questo già basta. Hehkumaton è un buon lavoro, divertente, che scorre via in un batter d’occhio e ti fa venire voglia di ascoltarlo di nuovo, se non proprio immediatamente quanto meno a breve, perché di riff buoni – anche buonissimi – ce n’è a iosa e i brani sono costruiti e suonati in modo inoppugnabile. Non si disdegna mai l’ascolto di un disco che riesce a farsi notare in mezzo a tanta altra musica di dubbio valore, pur non promettendo nulla di strabiliante. Support! (Griffar)