Just another night we are RUNNING WILD
Shadowmaker è il grado zero dell’heavy metal piratesco, il nocciolo duro dei Running Wild spogliato da ogni grandeur giovanile e messo a nudo. Sette anni dall’ultimo Rogues En Vogue; in mezzo l’annuncio dello scioglimento con tanto di tour in pompa magna e dvd celebrativo, poi dopo poche settimane il ripensamento e l’annuncio di nuovo materiale; e inoltre il boom commerciale degli Alestorm, la nascita di gruppini e gruppetti sedicenti pirate metal che venerano Port Royal come la madonna pur suonando cose totalmente diverse. C’è stato un momento in cui i Running Wild hanno smesso di essere un gruppo per sfigati come me e sono diventati un’influenza da citare nelle interviste da parte di tutti quei gruppi nu-heavy anglosassoni alla 3 Inches Of Blood; ed è bello quando una cosa del genere succede a chi se lo merita, non foss’altro perché il mondo deve sapere quanto spacca Black Hand Inn, e in un mondo perfetto ce ne sarebbe una copia in ogni abitazione. Io capisco pure chi si aspettava, dopo sette anni, un capolavoro da non far rimpiangere i vecchi tempi, una roba con i petardi i fuochi d’artificio e le bombecarta; ma ricordo anche che un ragionamento del genere l’hanno fatto i Morbid Angel, e dopo otto anni di silenzio se ne sono usciti con Illud Divinum Insanus. Invece Shadowmaker è efficacemente rappresentato dalla sua copertina nera, semplice e stilizzata: un disco sommesso, di basso profilo, un po’ alla vecchia maniera, per mostrare al mondo che si è ancora vivi; e volte è meglio accontentarsi, specie in un genere la cui data di morte ufficiale si può stimare intorno al 1987 quando è uscito Keeper Of The Seven Keys.
Morte ovviamente in senso evolutivo, perché se gli Accept riescono ancora a fare Stalingrad e i Running Wild ora se ne escono con questo Shadowmaker vuol dire che lo stampino è di quelli buoni. Shadowmaker è uno di quei dischi per cui non ha molto senso fare una recensione. I Running Wild suonano uguale da trent’anni, questo dovrebbe essere il quattordicesimo album e chi ci si avvicina sa già esattamente cosa troverà. L’unica variabile è il totale predominio dei midtempo: mancano quasi del tutto i momenti frenetici alla Powder & Iron, tutto è molto rilassato, estremamente groovy, cadenzato. Lo strumento principe è ovviamente la chitarra, col rifferama da trattoria intorno a cui gira tutto, come se nulla fosse mai cambiato.
E i Running Wild sono sempre rimasti gli stessi. Anche adesso, che sono praticamente una one man band, sono sempre i Running Wild. Shadowmaker è prodotto meglio di Rogues En Vogue, che suonava come se fosse stato registrato in salotto (ipotesi peraltro da non scartare). E in generale questi sette anni gli sono serviti per mettere da parte qualche canzone carina: Piece Of The Action, Riding The Tide (e qui davvero il tempo non si è mai fermato), I Am What I Am, Into The Black, ma pure la titletrack e Sailing Fire; tutte prese di peso dall’antico immaginario fatto qui rivivere, Rock’n’Rolf, i suoi miagolii e riff su riff come se non ci fosse un domani. Perché se ci pensate Rolf Kasparek è come un nonno che quando eri bambino ti ha raccontato un casino di storie sui pirati, forgiando la tua persona e la tua immaginazione con quei racconti di eroi beffardi e beoni con la sciabola al fianco, la gamba di legno e il pappagallino sulla spalla, sempre pronti ad arraffare mappe del tesoro e ingaggiare duelli con la marina mercantile, in sprezzo della morte, che dopo una bottiglia di rum avrebbero affrontato qualsiasi cosa. Il nonno si è fatto vecchierello, e tende un po’ a ripetersi; ma tu gli vuoi bene, ti piace sentire la sua voce raccontare di scorrerie sui mari, e vorresti sempre che te ne raccontasse un’altra ancora; magari le storie che ti racconta adesso somigliano un po’ troppo a quelle vecchie, ma a te non importa: quello che importa è il racconto in sé. Gli assoli volano veloci sulle onde, e non te ne frega più un cazzo di nient’altro.
La menzione finale è per la migliore del disco, Me & The Boys, che con l’immaginario piratesco non c’entra nulla ma che chiude idealmente un ciclo con la mitologica Prisoner Of Our Time, dal primo disco: una dichiarazione d’intenti e d’essenza, un manifesto di tutto ciò che noi dovremmo essere a cinquant’anni; se non saremo così, avremo fallito. Perché alla fine non sono i soldi o i bei vestiti le cose importanti; sono queste, le cose importanti. (barg)
aspettavo con ansia un vostro commento, anche perchè pure io sono devoto dei RW da anni…più o meno appunto dai tempi di black hand inn! Devo però discordare dalla recensione / commento perchè a mio personalissimo gusto, da The rivalry in poi i RW hanno perso tanto, troppo smalto, e questo nuovo shadowaker ha qualche canzone azzeccata ma prosegue la linea di dischi deboli degli anni 2000.
i motivi per me sono da riscontrare intanto nell’essere un solo project di fatto… musicisti senza personalità rendono debole e stantio il tentativo -legittimo- di non mutare pelle. Non a caso i grandi album dei RW avevano personaggi come Jens Becker, Thilo Hermann, Jorg Michael che hanno merito tanto quanto Rolf ( a proposito, certi soli ormai li ricicla dai tempi di blazon stone).
Discorso songwriting: troppo hard rock. Si sa che le influenze sono soprattutto i Thin Lizzy, ma -sempre a mio gusto- il metallo tetesco dà il meglio di sè quando queste influenze le seppellisce sotto tonnellate di acciaio, doppia cassa e riff quadrati. Me and the boys è imbarazzante da quanto è puerile, e francamente come esempio di metallaro tetesco 50enne in forma, al giorno d’oggi vedo decisamente meglio i citati Accept se non questo svogliato Rolf.
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Quoto sopra. Tutto quello che è seguito a The Rivarly è troppo hard rock, sopratutto nella produzione.
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Io lo dico e lo ribadisco per l’ennesima volta al Bargone… Questo disco non mi va proprio giù, troppi punti deboli, troppe songs inutili…
Li aspettavo con ansia anche io ma mi hanno deluso questa volta. Era meglio finire la carriera in pompa magna col il precedente tour e show del Wacken !!!
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regà sto disco è piaciuto solo a me, a ciccio e a charles, che ce lo ascoltiamo durante le cene a base di salsicce e birra. se a qualcuno va di organizzare, a sto punto facciamolo: un bel barbecue da qualche parte, st’estate, dove si ascolta solo metallo tetesco, un po’ di folk finlandese e i manowar. noi che scriviamo e voi che leggete. se lo fate io ci sto.
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il vino aglianico e le mozzarelle lucane le porto io.
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porto cicolane, arrosticini e genziana, posso venire anche se non mi è piaciuto questo disco?
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ok, ma solo se porti pure un po’ di pecora alla cottora.
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buongustaio…
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