TESTAMENT – Dark Roots Of Earth (Nuclear Blast)
Il thrash è l’unico filone del metal a essere talmente legato a un preciso contesto spazio-temporale da essere del tutto esente da revival o proselitismi fuori tempo massimo davvero credibili. Ci sono decine di band death metal old school, sia di scuola svedese che americana, che nel 2012 fanno dischi godibilissimi e pienamente coerenti con lo spirito primigenio dei maestri. E lo stesso discorso vale per aree ancora più reazionarie e autoreferenziali come il doom e il power. Se si parla di thrash gli unici gruppi che continui a valer la pena di ascoltare sono quelli che lo hanno inventato. I Municipal Waste sono un grazioso giochino passatista che lascia il tempo che trova e di gente come Evile o Suicidal Angels, pur con tutti il rispetto e la simpatia di questo mondo, non me ne potrà mai importare nulla. E se gli ultimi Destruction se li filano pressoché solo i ragazzini ci sarà pure un motivo. La Bay Area degli anni di Reagan, gli Anthrax e gli Overkill a New York e la scena crucca, che, in virtù della dimensione proto-black dei primi Sodom e Kreator, è già un discorso diverso. Come l’essere di Parmenide, il thrash è e non può non essere che questo. È sempre stato il mio genere preferito. Negli ultimi ’90 avrò pure avuto un sacco di roba fica da sentire e seguire ma i miei veri eroi avevano del tutto perso la bussola e desideravo essere nato una decade prima. Era l’epoca dei Load, dei Risk, dei Volume 8 – The Treat Is Real. I Testament, perlomeno, con il solo Eric Petersen alle sei corde, un carneade al basso e Gene Hoglan alla batteria, avevano provato a reinventarsi spingendo al massimo l’acceleratore sulla cattiveria e la brutalità. Il risultato, Demonic, fu piuttosto maldestro. Poi, nel ’99, boom, The Gathering. Formazione all-star. Accanto ai due membri fondatori superstiti, Dave Lombardo, Steve DiGiorgio e il prezzemolino James Murphy. Un disco incredibile. Non perché sia chissà quale capolavoro. Non lo è (e in fondo la maledizione dei Testament è sempre stata quella di essere partiti con un esordio talmente colossale da non poter essere più pareggiato). Ma se tanta gente ci è così affezionata ci sarà un motivo. Quando ero ragazzino era il thrash, pur già defunto, la vera musica di formazione. Sì, tanto belli i Pantera, gli At The Gates e i Sepultura ma se non sapevi a memoria The Legacy e Bonded By Blood non eri un metallaro. Come era giusto che fosse. Ma era un passato che sapevi non sarebbe più tornato. Tutta la fama che si porta appresso The Gathering deriva anche dal fatto che erano secoli che non usciva un vero disco thrash metal. Era acqua nel deserto.
Poi arrivò la reunion con la line-up originale. Me la godei dal vivo a un vecchio Summer Day In Hell a Roma. Era il 2005. Di spalla c’erano proprio Sodom e Kreator. L’Apocalisse, signori. A Chuck Billy e compagni staccarono la corrente prima del bis perché i tempi si erano allungati troppo. Tornati loro nel backstage, ci fu una selva di bestemmie e lanci di bottiglie contro il palco da parte del pubblico incazzato. Louie Clemente, che aveva sinceramente i suoi limiti, durò lo spazio di quel tour. I redivivi Alex Skolnick e Greg Christian, nei rispettivi ruoli due dei musicisti più dotati della storia del genere sia dal punto di vista tecnico che creativo, restarono. Tre anni dopo arrivò The Formation Of Damnation. Lo accolsi con sufficienza forse eccessiva. Ma era un momento nel quale ero distratto da troppe stronzate, sia nella musica che nella vita. Vero è che uscì in un contesto ben diverso da quello attuale. Perché in questo periodo, e toccherebbe farci una riflessione molto ampia intorno, i dischi più belli arrivano da vecchi leoni che stanno vivendo una seconda giovinezza artistica collettiva. In un paio d’anni abbiamo avuto Endgame, Worship Music, Exhibit B, The Electric Age, In War And Pieces, Phantom Antichrist, Relentless Retribution. E manco Death Magnetic e World Painted Blood erano male, dai. Loro gridavano cose giuste e ora sono degli splendidi cinquantenni. Come ha detto Carlo a proposito dei Candlemass: “tutto sommato nel frattempo non è successo un gran che, nessuno è riuscito a far loro le scarpe, nessuno è riuscito a inventarsi ‘sto cazzo. E allora gente come loro tira fuori gli assi e lo sai già che sono sempre quei 4 assi, ma con queste carte si vince per forza”. Ed ecco che pure i Testament se ne escono con una mazzata allucinante come Dark Roots Of Earth.
Non sarà The Gathering. Ma se The New Order non poteva bissare The Legacy non vedo perché Dark Roots Of Earth debba bissare The Gathering. Già il fatto che superi in volata un The Formation Of Damnation o, perché no, un Souls Of Black è molto più di quanto fosse lecito pretendere. L’opener Rise Up ti stende subito al tappeto. Un muro di groove che ti crolla addosso, suoni azzeccati, pur nei limiti di una produzione Nuclear Blast (e Andy Sneap aveva già dimostrato con gli Exodus di sapere come debba suonare ‘sta roba nel terzo millennio), riff mastodontici, quelle chitarre, le grida di guerra di Chuck, un Hoglan (subentrato ormai anche dal vivo a Paul Bostaph, vittima di problemi di salute che lo hanno costretto a sospendere l’attività di tritapelli) perfettamente a suo agio, un ritornello che è già un inno da stadio che dal vivo farà strage. No, non potevamo chiedere loro di meglio. I brani più riusciti sono quelli violenti, torrenziali e anthemici, come le già anticipate Native Blood e True American Hate, ma funzionano alla grandissima anche i pezzi più cadenzati e riflessivi, dove il valore aggiunto è proprio la chitarra di Skolnick che, da jazzofilo capitato in mezzo alla reunion per ragioni alimentari, è tornato a essere, con il suo inconfondibile gusto melodico, la dinamo dei momenti meno duri e frenetici, quali la cupa Cold Embrace o la stessa title-track. Colpisce come i Testament siano riusciti, come nemmeno in The Gathering, a recuperare tutte le componenti cardine del loro sound (a volte torna alla mente anche l’ingiustamente denigrato The Ritual), che trovano la loro sintesi suprema nella massiccia Throne Of Thorns, per regalarci un platter possente e allo stesso tempo dannatamente catchy che è senza dubbio il meglio che si potesse aspettare da loro nell’Anno Bastardi 2012. Non c’è manco da stare troppo a descriverlo. È un fottuto disco dei Testament, dal secolo scorso mai così in palla, dal secolo scorso mai così convincenti e devastanti, dal secolo scorso mai così loro stessi. Una formidabile, insperata vulgar display of power che non posso non accogliere con gioia. Spero che nei prossimi sei mesi non esca nulla di così buono sennò fare la playlist sarà davvero un casino. E lo sai già che sono sempre quei 4 assi, ma con queste carte si vince per forza. Chapeau. (Ciccio Russo)
Discone immenso e recensione allo stesso livello.
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Ciccio sei il filosofo del thrash metal, dovresti insegnare storia e andare a predicare in giro per provare a cambiare la mentalità delle nuove generazioni. Mi linciate se dico che preferisco l’ultimo a The Gathering?
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Io sono d’accordo con te…
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Dopo ulteriori e ripetuti ascolti anch’io. L’ultima stesura di questa recensione risale a 10 giorni fa. Da allora non ho fatto che continuare ad ascoltare questo disco e ora lo preferisco anch’io a The Gathering, sebbene abbia ritenuto di non tornare sul pezzo. La differenza la fa Skolnick con il suo stile e il suo gusto. Magari su The Gathering c’era un batterista più estroso ma quello era un album maggiormente basato sulla ritmica e il wall of sound proprio perché senza Skolnick l’anima melodica e ‘oscura’ dei Testament era venuta a mancare
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Giuro pure io non ascolto altro, questo è il Worship Music del 2012. Comunque si la mancanza di Skolnick si sente parecchio e non avrei saputo definirla meglio se non come l’anima ‘oscura’ della band. Comunque una bella differenza sta pure nella voce di Chuck Billy, francamente è uno dei pochi casi in cui preferisco il cantato pulito (o pseudo tale) al growl.
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The Gathering è farina del sacco di Petersen, l’anima estrema della band… Chuck Billy qua usa meno il growl proprio perché è al servizio di brani più melodici e sfaccettati. E spenderei due parole anche su Christian, l’unico bassista insieme a Burton che abbia saputo andare contro ‘la legge dei Ramones’, ovvero basso e chitarra ritmica che seguono lo stesso pattern, uno degli stilemi cardine del thrash. Per me Dark Roots è molto meglio di Worship Music, inoltre
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Devo dire che io sono a favore della ‘legge dei Ramones’ (per ovvi motivi) e per quanto io preferisca i dischi su quella scia, non posso non apprezzare anche chi prova a innovare (oddio che parolone) o a dire qualcosa di diverso. Comunque pure per me è meglio di Worship Music, però sempre nella lista dei grandi ritorni Worship Music lo metto sopra Phantom Antichrist. I più convincenti restano i Sodom, poco da fare.
@Nunzio: a breve faremo un brainstorming a tema ‘I grandi ritorni del thrash’ , io porto la birra tu le albicocche fresche.
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Sì.
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anche io preferisco nettamente l’ultimo a The Gathering.
Anche solo per il fatto che Chuck canta pulito invece dello stucchevole growl
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gran recensione come sempre! sarebbe simpatico se tanti altri gruppi seguissero l’esempio dei vari testament, kreator e compagnia bella e ricominciassero a fare musica con i contocoglioni. non nuovi capolavori non è che si può pretendere, ma almeno dischi decenti
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visti al total metal festival..che cazzo di macchine che sono
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oh ma c’eri pure tu? A saperlo prima sarei venuto a salutarti. Identificati dai.
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Certain death c’eri anche tu? Sergente è un folle
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si, maglia dei Cannibal Corpse con la dicitura KILL in bella vista.
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pantaloncini verdi,maglia degli entombed”god is great satan is super” e capelli perennemente bagnati dalla doccia che stava vicino all’entrata.sono abbastanza anonimo ahahahah
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Non ricordo sinceramente, non ero messo propriamente benissimo. La prossima volta vengo a stringerti la mano, fatevi vedere all’Agglutination dai.
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eeeeehhhh devo vedere come sto messo a soldi!l’ho detto pure a bargone(quest’ultima parte serve giusto per ricordare che ho parlato con roberto)
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Bravo Ciccio, a mia memoria sei il primo che parla di “ingiusta denigrazione” di The Ritual”. Era ora.
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Bella recensione per un grande disco. Ccomplimenti ai Testamente ed al recensore.
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ci tengo a precisare che al bad side ho conosciuto il funambolo(che per me potrebbe essere il michele romani di metal skunk,non sia mai che porta vagggine impertinenti sul blog coi suoi occhi azzurri) e ROBERTO BARGONE.non aggiungo altro
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io pensavo che fosse ubriaco il sergente, in realtà è proprio cosi di natura, l’ideale per i concerti caciaroni,
Il Bargone, beh che dire è il Bargone
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quando vi serve un po’ di caciara fatemi un fischio!
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Io una decade prima sono nato e di conseguenza questo “Dark Roots” non mi ha per nulla esaltato!!! Se vogliamo essere obiettivi allora del nuovo Overkill che cosa bisognerebbe dire?!? Non è brutto questo disco dei Testament, sia ben chiaro, ma solo 2/3 brani decenti mi sembrano un pò poco…
PS: “The Ritual” era un album a dir poco ignobile, di una piattezza allucinante!
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Montalbano sono :D ehm, si scherza :D anche io ho la mia “età” ma questo album l’ho apprezzato molto, è un gran lavoro. per me ci sono più di 2-3 brani decenti, mi ha preso fin dal primo momento. concordo con il recensore anche su The Ritual che, invece, secondo me è un bel lavoro,ingiustamente bistrattato.
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I miei 2 cents.
Band ormai su disco inutile…Billy che canta ormai i suoi 2 o 3 giri soliti (ci aveva provato davvero in the ritual con discreti risultati), produzione alla Children of Bodom (eccheccazzo), copertina da 5 elementare (altro che souls of black, pfui!), Skolnick (il miglior chitarrista thrash di sempre) che cerca di rianimare qua e la’ canzoni stanche e prevedibili…il guaio dei testament è che si sono sempre rinchiusi volontariamente in un recinto, pur avendo tutte le capacità di affrontare qualsiasi genere…per me un gruppo che non ha più senso…dal vivo poi amplificano la monotonia che hanno acquisito nei dischi. Hanno canzoni meravigliose (The ballad, trail of tears, electric crown, return to serenity) che ignorano criminalmente…ah già, senno’ i metallari veri si lamentano…
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