METAL FOREVER @Stony Pub, Firenze – 27.5.2023

Lo Stony Pub è considerato un’istituzione dei concerti rock e metal fiorentini in periodo estivo. Lo frequento da una vita, e si è appena reso teatro di un evento frutto dei medesimi organizzatori della data dei Necrodeath al Firenze Metal. In un certo senso le due cose sono pure collegate.

Alla denominazione Metal Forever – Firenze Metal Arena troviamo tutti gli eventi secondari che non si svolgono al Viper Theatre di via Pistoiese, bensì in locali limitrofi. Alcuni mesi fa fui chiamato a fare da giurato a una serata che prevedeva Subhuman e Weirdream – come gruppi traino – seguiti da quattro formazioni, non necessariamente locali né emergenti, le quali si contendettero un posto nel bill di una data d’ottobre del Firenze Metal, proprio al Viper. Nell’occasione vinsero gli Speed Kills, thrasher fiorentini, e la giuria era composta – oltre che dal sottoscritto – da Riccardo Iacono (Domine, Juglans Regia) e Marco Biagioli dei Runover.

Unico reduce di quella giuria, mi sono ritrovato l’altra sera a partecipare a una serata similare, all’aperto, la cui posta in palio era certamente più alta: il Wacken Open Air. Per la precisione si trattava della finale della Wacken Metal Battle italiana, e alla giuria eravamo presenti noi di Metal Skunk, Metal Hammer e lo staff del Firenze Metal.

Come da copione erano in previsione due gruppi “fuori gara”, gli emiliani The Modern Age Slavery e gli Old Bridge. Nei primi figuravano alcune facce note, come l’ex batterista dei Subhuman, Federico Leone, e Ludovico Cioffi, chitarrista con i Delain e già turnista con Ne Obliviscaris e Fleshgod Apocalypse.

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Come funziona una giuria?

C’è un tavolo, un foglio per votare e tu che ti sei appena ingozzato a morte a un buffet e che a momenti vai incontro a una paresi facciale per la digestione. Provo a scambiare due chiacchiere con Damiano, affezionatissimo lettore, che è venuto con indosso la maglietta di Metal Skunk; provi a scambiarle con Matteo dei Subhuman, che è venuto con indosso la maglietta di Metal Skunk; mi fanno sentire una merda perché io ho indosso solo una t-shirt nera, se non vado errando, di Intimissimi. Nonostante il mio impegno a socializzare mi torna su tutto il cibo, e il Gaviscon è riposto in un cassetto a quaranta chilometri di distanza. Attacca il primo gruppo in gara, gente in cui dovrò riporre una certa attenzione. Inoltre è ancora pomeriggio, e, se dessi cenno di parziale perdita delle funzioni vitali, Andrea e Jago, organizzatori, e Matteo, fonico, lo noteranno con certezza.

In teoria penso toccasse ai The Silence Between Us da Padova, deathcore, ma sono saltati qualche giorno prima della data, e il loro rimpiazzo sono i MIARA.

Nella settimana che precede questo genere di concerti mi ripasso un po’ tutte le band fuorché quelle che già conosco: i Miara sono gli unici di cui non sono riuscito a trovare niente in anticipo, BandCamp incluso, salvo poi scoprire i loro singoli su Apple Music. Definirei la loro musica come in scia agli In Flames del periodo seguente Come Clarity con un’aggiunta supplementare di velocità e violenza. La scaletta è stata brevissima; il posizionamento nel bill sotto la luce del sole non ha certamente aiutato, ma non mi hanno entusiasmato, per quanto il loro frontman cercasse un repentino contatto con un pubblico impegnato a trangugiare.

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Il pontile di Antignano, indiscusso protagonista della serata – Ph. Marco Belardi

Alla mia sinistra è presente una ampia zona laterale in cui, generalmente, si va a fare due chiacchiere senza che la musica ti disturbi. È pieno di tavolini, e quell’area dello Stony è nota per la presenza di un gatto rosso piuttosto baldanzoso che cerca di scroccare il tuo mangiare e che ti distrugge i pantaloni con le unghie. Sabato ventisette maggio quel gatto non l’ho visto per la prima volta in diversi anni, certo che la settimana precedente avesse suonato un qualche gruppo di Vicenza.

Calano le tenebre e, complici gli sbuffi dell’Arno a pochi metri, l’umidità fa correre tutti in macchina a prendere i giubbotti. Inizio a scrutare nell’oscurità incombente per cercare quello stronzo rossastro e mettermelo addosso, ma proprio non lo vedo in giro.

Il buio però distribuisce punti in favore dei CARVED, la seconda band in programma. Già li conoscevo in merito alla loro nutrita discografia, arricchita lo scorso novembre dall’uscita di Ares.

I Carved suonano death metal sinfonico, più una versione ammodernata degli oramai storici Dark Lunacy piuttosto che dei Fleshgod Apocalypse, ai quali sono sovente accostati. Hanno due voci, maschile e femminile, e su disco tengono l’abitudine di relegare le chitarre in secondo piano in favore di batteria, orchestrazioni e cantanti. Ciò ha suscitato in me un singolare paragone con gli Anorexia Nervosa, per quei momenti in blast beat in cui la forte componente melodica del black metal dei francesi è scandita dalle cacofoniche orchestrazioni. Il concerto è di buon livello e alla voce femminile troviamo Chiara Manese, ex Astral Dive e con numerose collaborazioni all’attivo: i Nanowar of Steel, ma, soprattutto, il video di Nata Troia dei Subhuman.

Terzi in ordine di apparizione sono i COEVO, un prog metal molto moderno tutto incentrato sull’estro del bassista Luca Negro e sul timbro vagamente alla Tool di Aurelio Cosenza, un po’ in sordina in principio, decisamente a suo agio a scaletta ben avviata. Sinceramente non mi hanno entusiasmato, e rimando la curiosità nei loro riguardi a un miglior approfondimento delle registrazioni su disco. I Coevo sono stati gli unici fra sei band a mostrarci un certo deficit sonoro, con le chitarre totalmente divorate dalle frequenze basse.

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The Modern Age Slavery allo Stony Pub, 27.5.2023- ph. Marco Belardi

Poi è toccato ai vincitori.

I DIESANERA hanno letteralmente spostato i cittadini di Livorno a Firenze Sud. Loro avevano il face painting; parte degli amici anche. Mezza Livorno pittata in faccia si è travasata nello Stony Pub di Rosano (FI) con tanto di striscioni. A un certo punto non sembravano loro in trasferta, ma noi, tanto che ho iniziato a dare i numeri e a presagire che per terra, al posto della ghiaia dello Stony, avrei cominciato a intravedere mattonelle bianche e nere uguali a quelle di Terrazza Mascagni, e, invece della defilatissima bancarella del merchandising, gente moccolante intenta a vendere chilate di dentici e tronchi.

I Diesanera hanno imbastito lo show perfetto, e mi rammarico che il loro sfondo fossero gli alberi del Lungarno e gli striscioni della Tuborg. Con una scenografia all’altezza sono certo che sarebbero in grado di mostrare un potenziale raddoppiato.

In sostanza il loro è un metal molto ritmato che gira in diverse direzioni. Ritornelli alla Paradise Lost, tastiere e melodie alla Deathless Legacy o rivolte ai Death SS più moderni e danzerecci, una decisa spruzzata di gothic metal alla HIM o affini. Poi ci sono queste adorabili armonizzazioni vocali alla Alice in Chains, che, in assenza di un controcanto, sono state comunque gestite meravigliosamente. L’unico neo sono le basi, uno dei pestilenziali flagelli che affliggono la Musica che amiamo. Ci sono e non le sopporto dal vivo fuorché in supporto di un’introduzione al concerto.

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Io e Matteo Buti dei Subhuman con un mirino blu puntato alla faccia

I Diesanera hanno vinto non perché hanno portato a Firenze Sud tutti, proprio tutti, inclusi Marco Amelia e Cristiano Lucarelli. Hanno vinto perché hanno la tenuta del palco, hanno le canzoni, hanno i ritornelli. Hanno soprattutto un ottimo frontman che si ispira nelle movenze a Till Lindemann, paragone scomodissimo poiché rivolto a uno dei migliori attualmente in circolazione, e dunque arma a doppio taglio piuttosto che banale complimento. Bravi, ve lo siete meritati, e ora portate tutta Livorno in Germania. È ora di far parlare quei mangiacrauti come si parla sul pontile di legno d’Antignano.

Alla fine è toccato ai due fuori gara, i fiorentini Old Bridge di Silvia Agnoloni – che in città hanno una band omonima, figlia di una sorta di scissione – con il loro heavy metal ritmato, pieno di venature blues evidenziate dal basso e di riferimenti al doom tradizionale, e poi i The Modern Age Slavery, non esattamente il mio genere ma un muro sonoro impressionante fra tenuta del palco, carisma, tecnica esecutiva. Bella serata, fra alti e qualche performance nella media, e un pubblico fiorentino per l’occasione gemellato con quello livornese che ha assolutamente risposto presente.

Ora, però, c’è da ritrovare un gatto rosso. (Marco Belardi)

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