Ok, il nuovo IN FLAMES non è male ma ora non esageriamo

Michele Romani: Specifico subito che non sono uno di quelli che hanno subito più di tanto il “tradimento” degli In Flames, nel senso che mi avevano rotto le palle già da prima della pietra dello scandalo Reroute To Remain, tanto che quando m’imbattei per la prima volta nel famigerato video di Cloud Connected (con Strömblad e soci vestiti da nu metallari con annesse mossette da nu metallari) neanche mi ero scandalizzato più di tanto. Diciamocelo, la band di Göteborg era già pesantemente in crisi di idee sin dallo scialbo Colony e dal successivo Clayman, all’interno del quale bastava quell’aborto di Only for the Weak a far sentire puzza di bruciato lontano un miglio.

Quindi, vi chiederete, ma perché parli degli In Flames nel 2023? Perché, inaspettatamente, Foregone (in Italia ribattezzato subito Coregone in tributo al noto pesce di acqua dolce) è un buon disco. Attenzione, non parliamo di nulla di epocale e soprattutto di nessun ritorno al melodic death dei primi tre come ho letto da qualche parte, ma comunque di un lavoro abbastanza inspirato dove i classici riff della scuola di Göteborg incontrano le soluzioni più moderne degli ultimi lavori, che si tramutano in pezzi veramente notevoli come l’apertura State of Slow Decay, un po’ in stile At The Gates, e poi Foregone Pt 2,  la semiballad Pure Light of Mind e la mia preferita In The Dark con quel ritornello da paura. Come tipo di suono e atmosfere Foregone mi ha ricordato in parecchie cose l’omonimo dei The Halo Effect, anche se ovviamente non parliamo di plagio o altro (anche perché immagino che le registrazioni di Foregone fossero già terminate quando è uscito il side project di Stanne e soci) ma di quella voglia di revival che ultimamente in Svezia sembra andare per la maggiore. Paraculata anche questa? Ai posteri l’ardua sentenza.

Cesare Carrozzi: Il problema degli In Flames, come anche dei Dark Tranquillity, è il cantante. Mi spiego: quando uno strilla in un microfono, che si tratti di scream, growl, delle diverse interazioni delle due o come vi pare, e non ha desiderio/non è in grado di fare altrimenti, vuol dire che, se c’è una componente melodica, questa è tutta a carico degli altri strumenti; e, visto che parliamo di metal, al novantanove per cento è competenza delle chitarre. Prendete ad esempio, che ne so, i primi Arch Enemy o gli stessi At The Gates o varie decine di cloni di questi ultimi. Che poi nel caso degli Arch Enemy se uno esagera e perde completamente la carica aggressiva finisce che diventa una macchietta sonora con una scosciata tinta di blu che strilla fesserie su melodie da carie immediata ai molari, però, ecco, avete capito il punto. Quindi qual è il problema coi cantanti? Che la melodia vogliono farla loro oltre alle chitarre, che vogliono Cantare con la maiuscola, e quindi ROMPONO IL CAZZO col ritornello pulito, la strofetta arpeggiata un po’ sussurrata con pure qualche filtro e blablabla, il tutto per scrollarsi di dosso l’immagine di chi giusto rutta in faccia al microfono e darsi un tono sofferto da stronzo col cappello calato sulla faccia tutto il tempo perché troppo sensibile.

Tutto questo invece di, boh?, limitarsi a ruttare e godersela come dovrebbe fare uno che teoricamente canta death metal melodico. E invece no, “guarda mamma, guarda come canto bene, senti che bei testi profondi e malinconici che tiro fuori, come li interpreto sofferto e riesco perfino a leggerli con la visiera calata sugli occhi tutto il tempo”. Ecco il cazzo di problema, amici lettori. E se scrivo che TEORICAMENTE canta death metal melodico è perché gli In Flames, tra la copertina un po’ ammiccona e il primo paio di singoli paraculi, tentano di far passare questo Foregone come un mezzo ritorno alle origini, quando non è vero proprio per un cazzo: al limite è un buon disco se teniamo conto degli ultimi anni del gruppo, ma a me non frega nulla di circostanziare perché personalmente mi sono fermato a Come Clarity, disco in cui, almeno, le melodie le azzeccavano e non tentavano di spacciarsi per null’altro se non quello che erano in quel momento. Qui di carino, non bello ma carino, ci sono due o tre pezzi, il resto è una mosceria mortale con questo che lagna di patemi esistenziali quando l’unico patema, esistenziale e non, è lui stesso. Menzione di demerito per Broderick, sciapo come al solito e per giunta completamente decontestualizzato, il prototipo del chitarrista tutta tecnica e senza un minimo d’anima. Almeno è simpatico. Solo per affezionati (Foregone, non Broderick).

5 commenti

  • io lo sto ascoltando da un paio di giorni… le premesse per un buon album c’erano tutte, spero che il periodo peggiore sia passato (siren charms, battles). Friden era ed è un cantante limitato, ovvio che se gli scrivi merda tutti i suoi limiti verranno amplificati (non solo in clean, il confronto con Stanne è impietoso). Dei testi e delle sensibilità me ne frega ben poco, resto dell’idea che se ha un buon pezzo -per quanto ultramelodico, ad esempio Come Clarity- riesce a fare il suo e a uscirne bene, altrimenti no. Per ora ‘sto disco è promosso a pieni voti… anche Broderick ci sta, Gelotte stava iniziando a fare gli assoli tutti uguali che manco Rolf dei Running Wild o Jon Shaffer.

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  • Qui di carino, non bello ma carino, ci sono due o tre pezzi, il resto è una mosceria mortale con questo che lagna di patemi esistenziali quando l’unico patema, esistenziale e non, è lui stesso.
    Parole sante.

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  • Visti a novembre assieme agli At the Gates. Se questi ultimi vivono di fatto di rendita, con un cantante completamente senza voce che emette rantoli, Friden e soci regalano ancora esibizioni di rara potenza e intensità. Alcune canzoni di questo nuovo non mi convincevano ma finirò per comprarlo come ho fatto con tutti i loro album dal 2000 in poi. Ruffiani? Assolutamente, ma capaci di scrivere canzoni che non ti escono dalla testa.

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  • A me degli In Flames mi sono sempre piaciuti solo Lunar Strain e Subterranean e basta. Mai stato un fan di quel tipo di death.

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