Avere vent’anni: IN FLAMES – Reroute to Remain

Barg: Non ho mai sopportato questo disco, non perché rinnegasse il passato o che so io (anche perché il recentissimo passato era Clayman che era un mezzo discaccio e Colony che ok e tutto quanto ma già lasciava subodorare una prossima crisi creativa), ma perché è brutto. Si entra quindi nelle opinioni personali: non mi piacciono i pezzi, non mi piacciono i ritornelli, non mi piace praticamente nulla. In più trovo che la produzione sia pessima, il suono della batteria fastidioso e la prestazione di Friden inascoltabile.

Non è quindi una questione di tradimento, tant’è che a me i tre dischi successivi piacciono abbastanza (specie Come Clarity). Però è facile metterla in questi termini, perché all’epoca gli In Flames puntarono molto sulla dicotomia passato/futuro, ergendosi a campioni di un suono innovativo che se non ti piaceva era colpa tua che eri limitato. Loro avevano capito tutto e ti spiegavano la vita, l’universo e tutto quanto. Persino il titolo, Reroute to Remain, è una specie di dichiarazione di intenti. Ricalcolare la rotta per rimanere, perché se non ricalcolavi la rotta non avevi speranze, evidentemente. Non ho mai sopportato questo tipo di discorsi, che peraltro a cavallo dei millenni andava molto di moda. Come quelli che dicevano che il nu metal era il futuro e tutto il resto sarebbe stato spazzato via: rispondevo sempre che a essere spazzata via sarebbe stata la musica brutta, mentre quella bella sarebbe rimasta. Peraltro il nu metal, che comunque non mi dispiaceva, lo trovavo asfittico e troppo legato a un periodo storico, quindi esattamente l’opposto di musica futuribile. Avevo ragione, ma non mi viene neanche da festeggiare perché era troppo scontato che finisse così. E infatti il nu metal è morto e sepolto, la roba in stile Reroute to Remain non viene praticamente più prodotta e quando Jesper Strömblad si è trovato a formare gruppi nuovi è andato a ripescare quello che suonava negli anni Novanta. Di contro escono ogni giorno dieci nuovi gruppi thrash in stile anni Ottanta, per la gioia di Belardi. Giusto per fare un esempio.

Quindi, ricapitolando, il problema di Reroute to Remain sta nelle sue melodie, e tutto il resto è fuffa. Questo stile l’avrebbero affinato successivamente tirando fuori dischi molto migliori di questo: adesso, nel 2022, quei discorsi su evoluzione o morte fanno sbadigliare, com’è giusto che sia.

L’Azzeccagarbugli: Reroute to Remain è un disco che non necessita di particolari introduzioni o preamboli: è quello della definitiva svolta per gli In Flames – anche se le avvisaglie erano presenti anche nei due precedenti album – e, comunque la si pensi, quello più importante della seconda parte della loro carriera. Con la sua americanizzazione del suono, il richiamo a certe soluzioni più commerciali, la centralità delle tracce vocali di Friden mai così pulite ed effettate al tempo stesso, hanno non solo gettato le basi per la successiva fase della carriera degli svedesi, ma ha anche anticipato un certo tipo di metalcore che (purtroppo) sarebbe esploso di lì a poco.

Ovviamente alla sua uscita le reazioni furono – e restano, come potete vedere da questa doppia recensione – le più disparate: c’è chi ha gridato al “tradimento”, chi si è scagliato contro la svolta commerciale dei nostri, chi ha parlato di rinascita dopo un paio di album sottotono e chi si è stracciato le vesti. Personalmente, anche a distanza di vent’anni, trovo che Reroute to Remain sia davvero un buon album in cui regna un po’ di confusione a livello di scrittura e che con due/tre pezzi in meno sarebbe stato davvero ottimo. Si tratta di un disco paraculo come pochi, che ha l’indubbia qualità di entrarti in testa dopo un solo ascolto grazie a  ritornelli assassini e riff davvero riusciti.

Se l’apertura, per quanto molto americana, è abbastanza pesante, il quartetto di brani successivi è da heavy rotation: brani sicuramente “leggerini”, costruitissimi, ma che funzionano alla grande. In particolare Cloud Connected sembra un crocevia tra il passato e il futuro della band, e gli assoli di Jesper Strömblad si sposano alla perfezione con il nuovo suono. Paradossalmente sono proprio i brani più classici – almeno a livello di riff – che funzionano di meno: la divertente, ma fondamentalmente stupida Egemonic, l’ibrido Dismiss the Cynics, la semiacustica e tamarrissima Dawn of a New Day (che invece all’epoca apprezzavo molto). Il resto del disco invece è una macchina perfetta, nel suo essere sfacciatamente bombastico, roboante e accattivante. E poi sarà anche che li ho visti proprio in quel tour, come headliner del Wacken 2003, con tanto di fuochi d’artificio e 40.000 persone che cantavano all’unisono, ma a Reroute to Remain sono molto affezionato.

Un buon disco, che ha avuto un grande impatto e che è stato, al tempo stesso, l’inizio della fine per gli In Flames che dopo altri due lavori comunque riusciti hanno intrapreso una parabola discendente e ormai inarrestabile, senza raccogliere nemmeno un briciolo dei risultati commerciali che questo album lasciava intravedere.

14 commenti

  • Suoni terribili, troppi ammiccamenti al nu metal, ma le canzoni da ricordare ci sono. Per me promosso alla grande, ho fatto più fatica con il successivo Soundtrack to Your Escape.

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  • Io all’epoca lo adoravo. Aveva un equilibrio perfetto fra canzoni stupende, bei riff, la giusta dose di elettronica e un cantato pulito che dialogava bene con il solito sbraitare. Era a un passo dal diventare una pacchianata assurda, ma restava ancora al di qua del disastro, e questo lo rendeva un capolavoro. Oggi naturalmente non è invecchiato benissimo. Già allora la voglia di saltare sul carrozzone nu metal si sentiva troppo, e già mi aveva fatto annusare il sospetto che da lì in poi sarebbero solo peggiorati. Ma ancora oggi lo ricordo uno dei dischi a cui ero più affezionato (e poi adoravo l’artwork di Niklas Sundin!)

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  • Concordo con l’Azzeccagarbugli, forse un paio di pezzi in meno e avremmo trovato davanti un disco perfetto. Ricordo che all’inizio rimasi un po interdetto anche perché Clayman l’ho digerito con molta fatica, ma poi mi ha fatto fomentare ed anche adesso ogni tanto me lo riascolto (anche se con meno frequenza di Jester Race). Continua a non convincermi il successivo, di cui mi perdo regolarmente buona metà del disco

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  • Che porcheria, una frociata senza dignità alcuna. Di loro non ho mai avuto il coraggio di ascoltare più nulla da allora, per mia fortuna. Avere vent’anni è stata un’ottima rubrica, ma arrivati a questo punto serve più che altro a ricordarci quanti dischi di merda cominciassero ad uscire a getto continuo, almeno a livello diciamo “mainstream”. Sul disco in questione non è poi il problema della svolta commerciale o che so io, ma del fatto che sti pezzi fanno semplicemente schifo sotto qualsiasi punto di vista

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  • ricordo una stroncatura secca di Barg sul cartaceo, tipo un 3?, a me personalmente piacque più dei due prima e quanto i due dopo. whoracle e jester race sono Altro.

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  • Corporate Avenger

    opinione di barg personale e contestabile, ma che il nu metal sia morto e sepolto e non se fili più nessuno è una bugia faziosa dovuta al fatto che le nuove uscite di questo genere non sono, comprensibilmente, coperte da questo blog

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      • Corporate Avenger

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  • Colony lasciava intravedere una crisi creativa? Passare da Whoracle a Soundtrack ti tour escape nel giro di cinque album tutti differenti per me é creatività al massimo livello. Poi si può discutere dei risultati. Diciamo che hanno avuto qualcosa da dire fino a come clarity, dopo hanno cercato di rigirare la frittata.

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