La foto della vita: CHILDREN OF THE REPTILE – Heavy is the Head

In passato ho già manifestato la mia passione per la fotografia, qui su Metal Skunk. Di tanto in tanto mi ritrovo a scattare ai concerti, ma, come già accennato, la mia predilezione resta in tutto e per tutto per la macrofotografia. Il che significa levatacce alle quattro o cinque del mattino, anche a seconda dell’ora solare o legale, lungo l’arco temporale che va dal mese di aprile ai primi d’ottobre.
In molti mi domandano se abbia preso parte a corsi online o in presenza. A dire il vero no. Ho avuto la fortuna d’esser seguito da alcune persone, una fra queste Andrea, che saluto, che hanno avuto nei miei confronti una pazienza e una dedizione infinita nel correggere i miei sbagli e le mie imperfezioni tecniche. Molte delle quali si sono assottigliate, sebbene continui a portarmele appresso anche dopo undici anni di pratica. Una cosa che mi insegnò Andrea fu la lettura postuma di un’immagine. Qualunque file .raw o .jpeg gli inviassi era come se venisse sottoposto a una radiografia con l’attenzione tutta su composizione, esposizione e profondità di campo, oltre alla postproduzione e a tutto quanto il resto. I difetti che riscontrava nelle mie foto, almeno inizialmente, mi parevano sue piccate esagerazioni; paradossalmente riusciva a trovare molti più errori o imperfezioni laddove a me sembrava fosse tutto a posto. Col passare del tempo iniziai a cercare di correggermi prima ancora che lo facesse il mio Maestro, segno che non ero di certo un fenomeno della fotografia e, contemporaneamente, segno che qualcosa lo stavo tuttavia imparando. Adesso sono particolarmente severo nei confronti delle mie foto: in undici anni netti ritengo di averne scattata una sola in cui non sposterei una sola virgola e di cui sentirmi totalmente fiero.
È mia pratica comune analizzare ogni foto che mi capita sottomano; nell’ambito dell’heavy metal lo faccio con la fotografia ai concerti e lo faccio con ogni singolo shoot che Metal Archives carica e nel quale mi imbatto. È più forte di me. Osservo il punto di ripresa, il taglio, il posizionamento dei soggetti e molto altro ancora, come se stessi procedendo con l’esercizio menzionato sopra.
Poi questa foto ha mandato a puttane undici anni di nozioni elaborate e incamerate nella mia memoria:
I Children of the Reptile sono un ibrido fra l’heavy metal e il thrash e provengono dalla Carolina del Nord, precisamente da Wilmington. Che si affaccia sul fiume Cape Fear, un nome che sono convinto vi dirà qualcosa. La città di Wilmington supera di gran lunga i centomila abitanti, anche se sto maturando l’idea che non pochi di essi se li siano mangiati i Children of the Reptile. Un gruppo in cui il più magro dei quattro, quello a destra, compie il gesto involontario di reggersi la pancia. E, nel farlo, ride.
L’autore della fotografia si firma Molly Darden, un calcio in culo – tecnico e concettuale – a Oliviero Toscani il quale non riesce mai a tenere la bocca chiusa da quando esistono e proliferano i social network. Ed è con buona probabilità la sorella di Ozzie Darden (Dardenius il vero cognome), cantante della band, il che da vigore alla mia teoria per la quale i fotografi ufficiali delle band altro non sono che parenti e amici di membri delle stesse, armati con la peggiore attrezzatura possibile e alla ricerca dei peggiori risultati possibili. Ma questa foto, con quelle pance e con quel cane, ha vinto tutto.
Spinto dai singoli Burner e Silent Circle, il loro Heavy is the Head è fuori dal sette aprile scorso (marketing del più becero, se non addirittura vigliacco, l’uscire nella settimana delle uova di Pasqua con pance così ridondanti e ostentate), e le sirene in apertura a Burner mi mettono voglia di prendere l’aereo in direzione Wilmington e unirmi nell’individuazione, la caccia e la cottura di cani randagi assieme a questi quattro tipi qua. Belle chitarre, bei riff, e una voce potente e corposa che forse non completa l’aggressività totale messa in atto dalle suddette. Anzi ci distrae da essa. Non fraintendetemi: quando sento parlare di heavy metal stampo classico, in ogni sua variante, prediligo sempre una voce pulita ad una sporca. La stessa regola l’applico al thrash metal dal giorno in cui Chuck Billy mi traumatizzò coi suoi ferali gorgheggi. È cosa certa che le chitarre soliste dei Children of the Reptile siano raffinate nella pulizia esecutiva e nelle fasi soliste, e che vadano a braccetto con la voce; come contraltare troviamo un’anima ritmica speed metal assai ruvida (l’attacco di Adventurers, tra gli altri) e non sempre le due fasi coesistono con facilità.
Ma sono dettagli: riguardate quella foto e perdonerete ai Children of the Reptile il peggior disco possibile, e Heavy is the Head di brutto ha solo il titolo e la copertina. Scaletta con due hit ed altri sei pezzi di heavy metal privato di chissà quali picchi da rimembrare nei mesi o negli anni, ma comunque godibile. Buon terzo album per i mangiatori di meticci da Wilmington, e buonissima la fotografia curata da una Molly Darden che per il sottoscritto è già nave scuola. Grazie Andrea, ma ora seguo questa qua. (Marco Belardi)
Davvero, a questo sito mancava solo la fichetta delle fotografie.
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Sì però sei sempre incazzato Ipercù, te fa male sta cosa. Non è questo il contesto, tra l’altro.
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tanto percularli per le panze, ma non sono mica male! ottima segnalazione, grazie.
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