Avere vent’anni: CRADLE OF FILTH – Damnation and a Day

Damnation and a Day è un signor disco. Voi (che siete dei coglioni e di musica non capite un cazzo) giustamente mi direte: “Damnation and a Day? Ma sei matto!? È un polpettone pretenzioso, indigesto e fiaccante!” , e io vi rispondo: “Mmm diciamo di sì… avete ragione… E ALLORA?”.

Mi spiego: Damnation and a Day non va giudicato come normalmente giudichereste un album di Norah Jones, porca puttana.

Damnation and a Day non è il classico disco che ascoltate perché ne avete voglia, perché vi dovete caricare (o coricare) o allietare i vostri bei pomeriggi nel traffico. Damnation and a Day più che un disco è una di quelle improvvise (almeno a me capitano all’improvviso) e cervellotiche discese nei recessi della mente che fate la mattina presto prima di andare a lavoro mentre, ancora storditi dal sonno, vi infilate i calzini (al contrario).

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Quei viaggi introspettivi che si mescolano coi ricordi e la nostalgia, spesso coi dubbi, con le ansie, con le paure.

“Avrò fatto le scelte giuste? Mi piace la vita che mi sono scelto? Sto dedicando abbastanza tempo ai miei cari? Ho sbagliato qualcosa come figlio/figlia/padre/madre? Potevo dare/fare di più in quel frangente? Ma perché quindici anni fa ero così coglione? E perché, porco due, oltre ad essere al contrario, sono pure di colore diverso sti cazzo di calzini?”

Questi viaggi (ma chiamateli come volete, anche pippe mentali dovute all’ansia e al male di vivere) nel mio caso durano diversi minuti, anche ore.

Sono momenti piacevoli? Manco per il cazzo. Ti sbattono in faccia la vita in tutta la sua imperfezione, a volte crudeltà, pesantezza, ripetitività.

Ecco, Damnation è questo. È la vita, di tutti noi.

A tratti imperfetto, a tratti megalomane.  A tratti triste e riflessivo, a tratti diretto. A tratti ripetitivo, a tratti violento, crudele. Damnation non vi deve piacere, ma lo dovete vivere. Lo dovete ascoltare, fino alla nausea se necessario, e capirlo, accettarlo, volergli bene.

Primo disco di Dani e soci per una supermajor (che poi li caccerà perché troppo estremi per le loro orecchie, ma questa è storia), basato sul poema di John Milton Paradise Lost, non è il migliore dei Cradle of Filth perché il pokerissimo Principle-Vempire-Dusk-Cruelty è già da anni patrimonio UNESCO, ma, oltre ad essere appunto un’esperienza di vita come dicevo, ha dei brani che non lasciano scampo, e della tipologia più disparata.

C’è la martellante e thrashettona Hurt and Virtue ma anche l’orchestrale e sofferta Thank God for the Suffering, quasi una ballata a momenti. Ci sono singolazzi semiradiofonici come Babalon A.D. e Mannequin ma anche la contorta e spigolosa The Promise of Fever, col suo attacco iniziale furibondo che lascia senza fiato. Ce n’è per tutti. Ah, e ci sono ovviamente anche gli intermezzi atmosferici tra un brano e l’altro (più puntuali di un gol di Haaland in ogni disco dei COF).

La produzione non è da Oscar, è vero, ma riuscireste a immaginarlo con una produzione diversa? No. Anzi, la sua imperfezione contribuisce a dargli un senso di pesantezza opprimente senza eguali.

Come un senso di colpa la mattina presto per qualche cazzata fatta in passato. Prima del caffè. E coi calzini uno della Puma e uno della Rifle. (Gabriele Traversa)

5 commenti

  • passabile dai, ma arriva da materiale di ben altro spessore

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  • I Cradle avevano cominciato a mostrare la corda la ai tempi di Midian, ma quello riusciva a raggiungere la sufficienza perchè aveva ancora i pezzi. Qua mancano pure quelli e il tutto si risolve in un minestrone incolore e insapore, dove la palpebra si abbassa dopo una decina di minuti e il resto è solo noia. La morte dei Cradle Of Filth fu l’addio di Barker e pure di Lecter, ultimo tastierista ad avere un minimo di senso e gusto. Erlandsson non ci azzeccava nulla con il loro stile e ha finito per trasformarli in un gruppo extreme metal generico come tanti, la classica band da Nuclear Blast. C’è poi da dire che, nonostante la strombazzata presenza di una orchestra, su questo Damnation le parti sinfoniche sono insignificanti e relegate a semplici intro, non apportando nulla ai pezzi. Pessimo

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  • “Thus quoth the Raven..
    NEVER FUCKIN MOOOORE”

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