Tre dischi di acciaio temprato per sbudellare i nemici: Riders of Rohan, Clarent Blade e Jack Starr

Siete anche voi entusiasti di quella cosa con gli elfi dall’aria esotica che stanno dando in tv ora? Oppure la state evitando come la peste? Se la risposta è la seconda abbiamo una bellissima sorpresa: un gruppo il cui motto è resistere, resistere, resistere in tutto e per tutto. Per prima cosa alle orrende operazioni alla Disney Channel che al momento si stanno concentrando sulla distruzione dell’opera del prof. Tolkien, come seconda cosa agli stili musicali degli ultimi quaranta anni circa, essendone i RIDERS OF ROHAN totalmente immuni e preferendo assestarsi su uno stile NWOBHM prima fase (quella dei primissimi Saxon, Ethel the Frog, Sledgehammer, Angel Witch ecc, per intenderci). Avrete intuito tutto dal nome di questa banda e guardandone la copertina dell’album.
Dobbiamo ringraziare Crypt of the Wizard, negozio specializzato dell’East End londinese nonché etichetta discografica, che si è fatto promotore di questo debutto su disco della band di Goteborg.
La ricetta è semplice: artwork in stile Frazetta, tematiche quanto più filologicamente legate all’opera tolkieniana e una manciata di canzoni che spaccano e sulle quali Neal Kay o Tommy Vance avrebbero probabilmente sbavato nel 1980. Devo ammettere di essermi ritrovato anche abbastanza spesso, ultimamente, ad ascoltare le undici tracce contenute su questo omonimo debutto, che trovate comodamente su Bandcamp. Stupiscono la freschezza, nonostante il genere vintage per definizione, e una cover che definire geniale sarebbe riduttivo, ovvero Black Diamond dei Kiss riadattata per l’occasione in Black Rider, ascoltare per credere.
Proseguiamo questa rassegna di cappa e spada con un gruppo che ho trovato per pura fortuna su Bandcamp (sempre lui, il sig. Bandcamp!) ovvero i CLARENT BLADE e il loro Return into Forever, per ora unico e convincente album di questa banda sconosciuta proveniente ancora una volta dalla possente scuola greca dell’acciaio. Scuola che quest’anno ha dato luce anche all’ultimo album dei fieri Validor, ancora una volta una conferma delle qualità degli ateniesi. Ateniesi sono appunto anche i Clarent Blade, i quali fanno della spontaneità la loro arma vincente e, pur non essendo raffinati nei suoni come i loro colleghi e concittadini di cui sopra, colpiscono per la loro vena epica e rocciosa, con la voce di Ayloss, uomo solo al comando e già mente pensante dietro agli Spectral Lore. Rocciosi mid-tempo seguiti da improvvise cavalcate che certamente non portano sconvolgenti novità in un genere coi suoi canovacci tipici e regolamenti ben precisi ma che, in questo caso specifico, non potrà non convincere gli estimatori di questo tipo di sonorità per genuinità e devozione alla causa. Epic metal molto “operistico” e suggestivo, non solo duro e pesante, paradigma del quale possiamo considerare la traccia di apertura, The Book of All and None, con l’incedere tipico del genere e l’inserto centrale molto evocativo e melodico, prima della ripresa. Concettualmente magari un po’ ruspante e ruvido per alcuni, ma per chi del metallo epico apprezza l’essenza vera è un ascolto dovuto.
Ed eccoci ad un’uscita molto attesa, per lo meno da parte del sottoscritto, ma immagino pure per tutti gli amanti di doppie casse, voci al fulmicotone e riff roboanti: l’ultimo album di JACK STARR con i suoi Burning Starr.
Eravamo rimasti al precedente Stand Your Ground, una vera e propria lezione di heavy metal fatta da professoroni quali appunto il chitarrista franco-americano, il possente Rhino dietro le pelli e il prodigioso Todd Michael Hall al microfono. Di acqua ne è passata sotto i ponti dal 2017, anno in cui uscì quel disco, che è pure uno dei migliori dischi di heavy metal degli ultimi dieci anni, e alcune cose sono cambiate. Todd Michael Hall per esempio non c’è più. Al suo posto troviamo l’altrettanto talentuoso Alex Panza (!) a completare la formazione che ancora una volta vede una sezione ritmica con Rhino e il bassista Ned Meloni.
Non voglio prendervi in giro: dopo un livello di ispirazione raro come quello raggiunto sul precedente disco, se questo Souls of the Innocent fosse bello anche la metà di quell’altro sarebbe potuta essere considerata come una vittoria su tutti i fronti. Ed infatti il disco è meno bello di quell’altro ma convince sempre. I riff e le melodie di Jack Starr sono un po’ meno memorabili di quelle di Stand your Ground, che si ricordano anche a distanza di anni, ma ciò non toglie che siano di qualità pregiata. E che i suoni siano stupendi, quasi dimenticavo.
Il prodotto è confezionato con cura e passione, sempre di durata generosa (siamo intorno all’ora scarsa) e sempre godibile. Stand your Ground riusciva nell’impresa non solo di non annoiare, ma anzi di farci chiedere la seconda o terza porzione fino a superare abbondantemente i sessanta minuti, cosa che normalmente rappresenta un problema per l’ascoltatore, a meno che il materiale non sia di indiscussa qualità. Questa volta il buon Jack ci va vicino in tutti i sensi, in durata e qualità. Per cui non vedo ragione per la quale coloro che hanno apprezzato il precedente disco non debbano apprezzare pure questo. (Piero Tola)
Concordo su Jack Starr, il precedente è tra i migliori 10 dei suoi 10 anni. Questo no, è godibile ma “normale”.
Grazie per le altre proposte, il Defender gioisce.
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“tra i migliori 10 dei suoi 10 anni” però sembra una raffinata presa per il culo… ;)
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