Avere vent’anni: VULTYR – Bleed for Vultyr

Adesso non ricordo bene se l’hype pazzesco per i Vultyr venne fuori con questo disco o col suo predecessore Monument of Misanthropy, uscito giusto un anno prima; fatto sta che questo progetto di Tomi Kalliola (Azaghal, Wyrd e centinaia di altri, talmente tanti da perdere il conto) in collaborazione con Mikko Virkki (con lui anche nei Wyrd e per i fatti suoi con gli Hin Onde, ignoto gruppo pagan black finlandese i cui dischi penso di avere solo io), per un certo periodo è stata sulla bocca di tutti come uno dei gruppi black più grandiosi di sempre.
Bleed for Vultyr è il secondo full, il terzo di sette dischi in una discografia tutta racchiusa nel lasso di tempo 2001-2004 che possiamo riassumere facilmente con un breve elenco: quattro album, cioè i due già citati più Leviathan Dawn del 2003 e Philosophy of the Beast del 2004; uno split CD con Misanthropy ed Azaghal; due 7 pollici in vinile, ovviamente limitati ma non in pochissime copie, che si trovano ancora a prezzi decenti: Suicide Propaganda (525 copie, è Sabbath’s Fire 001 per chi ama queste informazioni di puro feticismo collezionistico) e lo split con i Nehëmah francesi (di cui esistono 666 copie). Tutto qui. Dal 2004 sono spariti e non credo li rivedremo. Per quanto mi consta credo che nemmeno ne riparlerò, la pratica Vultyr la chiudo qui.
Allora, io i dischi dei Vultyr ce li ho tutti e non faccio alcuna fatica ad ammettere che all’epoca della loro pubblicazione ci andavo matto. Un po’ per quest’aura di ultracattivissimi che propagandavano in interviste mirate che fornivano il miele marcio a noi mosche blackster in cerca di qualcosa di sempre più guasto, deteriorato fino al midollo, avariato come un dente che fa male ma ci si ostina a tenere in bocca perché si ha un terrore fottuto del dentista, o più che altro della siringa che il suddetto ti caccia in gola per farti l’anestesia. Ci hanno girato centomila film dell’orrore di serie B/C/Z su dentisti psicopatici e pervertiti che torturano a morte i loro pazienti, come possiamo non esserne influenzati? Non è forse vero che in ogni storia di fantasia c’è un fondo di verità? Pensateci, la prossima volta che andate a farvi curare una carie sperando di uscirne integri.
Ritornando alla musica dei Vultyr con una visione molto, ma molto a posteriori (in fin dei conti sono passati vent’anni, mica pochi), mi sento di dire che il progetto fu piuttosto sopravvalutato, anche da me medesimo. Nel senso che ok, va bene, i dischi sono carini, ma già allora non avevano nulla di nuovo da dire: era black scolastico di stampo finlandese non dissimile da quello che già suonavano gli Azaghal, anzi più volte ho pensato che i pezzi finiti nei Vultyr altro non fossero che scarti degli Azaghal riesumati ad hoc, ammantati da una produzione scarna e minimale con una scelta di suoni molto retrò ancor più minimale, arrangiati alla va’-là-che-vai-bene e sapientemente venduti come oro scintillante a nostalgici della prima ondata del black metal propriamente detto. Il quale, come ho già avuto modo di ribadire, NON comprende Hellhammer, Bathory, Venom e compagnia cantante, visto che quando questi ultimi hanno fatto uscire i loro primi dischi il black metal neanche si sapeva cosa fosse e nessuno aveva mai pensato di chiamare la loro musica black metal. Parlo della musica uscita dal 1991 in avanti: quella sì che si può chiamare black metal, tutto il resto sono forzature dietrologiche da quattro soldi. Sono abbastanza vecchio (non giovane, dai) da potermi permettere di dire: “Io c’ero”; chi colleziona o ha avuto la sagacia di non buttare al macero le vecchie riviste tipo H/M, Metal Shock et similia potrà confermare. Io le ho conservate tutte, quindi posso provare ciò che dico.
Bleed for Vultyr è un onesto disco black metal, nulla di più. Con riff gradevoli, schifosi quanto basta per assurgere alla gloria ma, riascoltati vent’anni dopo, direi piuttosto banali. Se uscisse oggi verrebbe vilipeso, probabilmente massacrato e sepolto di merda da tante di quelle recensioni negative da poter perderci il conto. Il loro problema è che col tempo il black metal si è evoluto, ed escono in continuazione dischi che – piaccia oppure no – ai Vultyr fanno mangiare tanta di quella polvere che neanche le Ferrari in Formula 1 negli ultimi dieci anni. Per decine di motivi: la cattiveria; la freschezza delle idee che, sebbene influenzate dal passato, trovano spesso nuova linfa in ibridazioni tutto fuorché banali; le sonorità che tirano fuori il meglio dalle composizioni… e fermiamoci qui, non è necessario infierire. I Vultyr sono stati un progetto polveroso, datato fin dalla sua genesi, rivolto a un pubblico di nostalgici poco propensi a considerare positiva l’evoluzione del black metal e il suo avvicinarsi a frontiere più lontane. Forse anche per questo furono una meteora durata il breve spazio di tre anni prima di eclissarsi probabilmente per sempre, nonostante il loro status attuale sia on hold. Uscisse di nuovo un disco dei Vultyr, oggi, settembre 2022, che suonasse come Bleed for Vultyr… sul serio, chi lo comprerebbe? (Griffar)
I Necrodeath si definivano black metal (intervista su ‘HM!’ del luglio 1987, rispondono Peso, Ingo e Paolo) 😉
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Guarda più o meno sono sulla tua stessa lunghezza d’onda, anche se i Vultyr credo di non averli mai ascoltati, ma all’epoca ero in fissa con gli Azaghal e Wyrd, e qualche altro progetto di Narqath, tipo Hin Onde o Oath Of Cirion. Per carità, ogni tanto lo split con i Mustan Kuun Lapset me lo ascolto ancora, i primi lavori dei Wyrd sono ancora da lacrima agli occhi, ma molta robba prodotta sotto le varie sigle, boh non mi dicono poi ancora molto (soprattutto gli Azaghal)
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No, spiacente, non è così. I Necrodeath hanno sempre detto di essere un gruppo thrash metal, nemmeno Death e figurarsi Black, che nemmeno esisteva in quanto tale. Nel 1990 dopo il loro scioglimento li intervistò Vittorio Baroni su H/M chiedendogli in sintesi quale fosse il loro più grande rammarico per aver dovuto mettere fine a un gruppo che, cristo il dio, aveva scritto due pietre miliari come Into the Macabre e Fragments of Insanity. La risposta fu: noi pensavamo che nella scena thrash avremmo potuto conquistarci un posto di rispetto accanto a Kreator, Sodom, Destruction e gli altri grandi del thrash tedesco. Non è stato così perché siamo italiani, eccetera. In effetti in Italia all’epoca la situazione era demoralizzante, trovare i dischi della Discomagic/Metalmaster era un’impresa, veniva tutto gestito in modo peggio che dilettantesco, le vendite erano scarse, la promozione nulla o quasi. Ma il loro punto di riferimento era il thrash metal e qui siamo di nuovo da capo: oggi “in the sign of evil” viene considerato (sailcazzo perché) proto-black, ma allora, quando era pressoché fresco di stampa, era thrash metal punto e basta. Non comprendo la necessità di questa distorsione storica, nessuno ne ha mai sentito la necessità fino a 15 anni fa circa quando matusa come me si sono messi l’idea in testa che noi ascoltavamo black metal ancora prima della sua nascita. Non è così, ascoltavamo gruppi che hanno influenzato pesantemente il nuovo genere musicale ma non lo suonavano essi stessi. Il primo vero disco black metal è A blaze in the northern sky, tutti gli altri discorsi sono dietrologie che non portano a nulla e chiacchere da birreria alle due di notte dopo la settima pinta.
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Ho semplicemente riportato un’intervista d’epoca in cui si definivano così: vai a vedere se non ci credi (HM del luglio 87, Iron Maiden in copertina, intervista nelle pagine in bianco e nero centrali).
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