Avere vent’anni: WYRD – Heathen

Michele Romani: Heathen (pagano) è il primo e tuttora insuperato capolavoro di quel simpatico chiattone finlandese che risponde al nome di Tomi “Narqath” Kalliola, unico compositore e – almeno fino a Rota – unico membro degli Wyrd, che possiamo comunque considerare ancora oggi una sua personale creatura. Ricordo che comprai questo disco al Sound Cave di Milano (ero in trasferta per un No Mercy Festival) assieme a Nocturnal Poisoning di Xasthur e In Flames of Purification del moderatissimo Bilskirnir, praticamente un festival delle one man band. E l’unico di questi tre dischi (senza nulla togliere agli altri due) che ancora mi capita spesso di mettere nel lettore è proprio Heathen, un’unica meravigliosa suite di 51 minuti, manifesto del folk black metal atmosferico, in cui un Narqath in stato di grazia sembra veramente essere guidato dalle divinità pagane.
Come dicevo, il disco è composto da un’unica canzone, anche se in realtà tecnicamente si divide in quattro parti: la prima dura all’incirca venti minuti ed è l’unica che presenta materiale inedito, mentre le altre sono le versioni riregistrate del demo Of Revenge and Bloodstained Swords, vale a dire la burzumiana Season of Grief (che parte dal minuto 20 in poi ed è anche la più bella, soprattutto quando entra la voce), seguita poi da Oath of Revenge e l’outro finale Autumn Heart. Detto questo Heathen va comunque assaporato nel suo insieme, ancora meglio durante una bella passeggiata in un bosco o comunque a contatto con la natura: anche gli aspetti che possiamo considerare negativi, come la registrazione volutamente scadente e la voce non proprio aggraziata di Narqath, passano del tutto in secondo piano di fronte alle semplicissime ma dannatamente coinvolgenti parti acustiche, riff a dir poco ipnotizzanti (quello al minuto nove è una delle cose più belle abbia mai sentito) ed in generale alle stupende atmosfere pagane che questo giovane ragazzo finlandese ci ha saputo regalare. Non che i dischi seguenti non meritino (chi più chi meno mi piacciono praticamente tutti), ma Heathen è un qualcosa che va veramente OLTRE.
Barg: Questo è uno di quei dischi che ascolto in cuffia quando cerco tranquillità ed astrazione dal mondo, oppure che metto in macchina quando, nelle stagioni fredde, mi capita di guidare in mezzo ai boschi. Esistono migliaia di dischi che cercano di trasmettere queste stesse sensazioni, ma ben pochi riescono ad esprimerle come Heathen. Non so neanche se sia il mio preferito degli Wyrd, anche se mi sono posto la domanda molte volte, però è quello che concepisco come un sottofondo unico, un compagno dei momenti di malinconia contemplativa. E non c’entra il fatto che sia materialmente un’unica traccia di 50 minuti, perché in verità il disco è composto di almeno tre pezzi nettamente separati l’un l’altro; ma tutta l’atmosfera di cui Heathen è ammantato fa sì che quasi non si percepiscano gli stacchi, perso com’è l’ascoltatore nelle brume autunnali in cui viene trasportato dolcemente.
Griffar: Heathen è unanimemente considerato il debutto di Wyrd, almeno fino al 2015 progetto del solo Narqath, eminenza del black metal finlandese grazie alle sue innumerevoli band presenti o passate (ricordiamo tra le migliori Azaghal, Oath of Cirion, Vultyr, With Hate I Burn). In realtà secondo i canoni odierni non lo è, perché arriva dopo i tre demo autoprodotti usciti tra la metà del 2000 e il marzo 2001 in cd-r. Heathen è comunque un episodio abbastanza anomalo nella sua carriera, perché né con i primi tre titoli (tutti quanti di durata full lenght) né con quanto ha poi composto in seguito Narqath si è mai cimentato con qualcosa di così complesso come un singolo brano da 51 minuti e 11 secondi. Durante questo non indifferente minutaggio, Wyrd ci delizia con un black metal di notevole impostazione folk e pagana, per la maggior parte del tempo assestato su tempi non veloci (quando non decisamente lenti) e ricco di melodie notturne, crepuscolari, nostalgiche tipiche degli arpeggi in minore.
Pur essendo considerato un brano unico, in realtà suona molto più come un collage di diverse sezioni tenute insieme da intermezzi di pura atmosfera: effetti, flauti, archi, strumenti tradizionali e quant’altro, il tutto concatenato in modo da ottenere una lunghissima suite alla quale in tempi più remoti sarebbero stati dati svariati sottotitoli per spiegare meglio le varie situazioni che si susseguono. Un po’ come in The Ivory Gates of Dreams dei Fates Warning, per dire. Ad esempio non è paragonabile con Slaves of the Vast Machine degli Obitus, che rimane sempre ancoratissimo nel mare tempestoso del black metal e le cui varie parti si rincorrono e si ripetono senza sezioni di mero collegamento.
Heathen nel suo piccolo è un gioiellino, un qualcosa di unico e difficilmente ripetibile né da Wyrd stesso né da nessun altro, un caleidoscopio di situazioni diverse ed innumerevoli emozioni differenti, una tavolozza di mille colori che a volte si mescolano in sfumature diverse e a volte si isolano rifulgendo di luce propria. È tutto coeso, dalla maestosità epic black pura ai non rari momenti d’ispirazione bathoriana periodo Hammerheart (ovviamente) agli effetti guerreschi fino agli interludi di chitarra pulita arpeggiata, cupi e malinconici. Un disco che ha bisogno di tempo per entrarti dentro, e che raggiunge il suo massimo splendore se ascoltato in un pomeriggio nevoso d’inverno, quando fuori c’è nebbia, fa freddo e sembra che al mondo non esista più anima viva, con un bicchiere di ottimo vino rosso e nessun altra voglia che guardare il soffitto e lasciarsi trasportare dalle note.
Dai che adesso inizia la “bella stagione”, e le camminate per campi si fanno più significative per l’atmosfera cinerea
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I Wyrd all’epoca li ascoltavo in continuazione dopo averli scoperti con il successivo Huldrafolk, anche se rimango attaccato emotivamente al primo Vargtimmen, ma anche Heathen è un cazzo di signor disco. Peccato che da Rota, a mio avviso il buon Narqath sia andato parecchio in confusione. Mentre con gli Azaghal continuava a fare discreti lavori Black Thrash, con i Wyrd boh hanno perso quella vena particolare che li distingueva dagli altri.
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