Edin Dzeko traditore: PROTECTOR – Excessive Outburst of Depravity

Venticinque anni or sono, giovane e scalmanato com’ero, mi innamorai di un gruppo tedesco – di Wolfsburg, per l’esattezza – il cui nome era Protector. Misi rapidamente le mani su due album: un Ep intitolato Leviathan’s Desire – che a sua volta raccoglieva alcune tracce dal precedente Ep, Misanthropy – e un full, The Heritage. Quest’ultimo segnava una certa virata, rintracciabile per lo più nell’impostazione sonora, verso certe usanze tipiche del death metal della Florida. I connotati feroci, insensibili, tedeschi, tipici di gente che ti fissa negli occhi e poi spalanca la bocca e vomita pezzettoni grossolani di wurstel mezzo masticato senza aggiungere una sola parola, erano nell’Ep. E perciò me ne innamorai. The Heritage, inoltre, portò loro una certa sfortuna, poiché in seguito alla sua pubblicazione i Protector si sciolsero. Erano gli anni in cui certi big del thrash metal si accingevano a registrare l’album più feroce possibile, da Tapping the Vein dei Sodom a Cause for Conflict dei Kreator.
Chiunque si fosse distanziato da una certa tipologia di “fama” è poi tornato a prendersela con rinnovata avidità, e non è il caso che mi metta a sproloquiare su Violent Revolution e titoli del genere. Il bellissimo M-16, per quanto sia fatto di tutt’altra pasta, rientra nella suddetta cerchia di album i cui contenuti sono assolutamente appetibili. Possono piacere al thrasher integralista così come al suo amicaccio al quale mai era fregato niente di Persecution Mania e affini. Sono dischi ruffiani, perché ben sanno a cosa mirano. I Protector non godettero mai di quella tipologia di fama generata dai vari Coma of Souls – il progenitore tedesco del concetto espresso sopra. Hanno avuto vita breve, e all’interno di una sorta di bolla che ne ha preservate lo caratteristiche, le peculiarità. Non a caso al vano scimmiottare Scott Burns andò tutto a puttane, subito.
La morale della favola è che mentre si riformavano tutti, e sottolineo tutti, si riformavano anche i Protector. In assoluto silenzio, nascosti nella loro bolla. Così, dopo aver ristampato l’impossibile coi soldi trafugati dal salvadanaio dello zio Oswald, i Nostri si sono ripresentati al pubblico (dieci persone circa, fra cui me, parentela assortita e un tale agli arresti domiciliari in Bassa Sassonia) accompagnati dal titolo Reanimated Homunculus. Un titolo che trasudava maleducazione, perché nessuno se ne sta inattivo per vent’anni per poi riaprire bocca con Reanimated Homunculus. Sarebbe come chiamare il tuo secondo figlio Abbondanzio un po’ dopo la nascita di Alessandro. Ma succederà di peggio.
Dopo il buon Cursed and Coronated, prodotto da Lino Banfi, i Protector tornarono al varco con l’intenzione di esaltare l’Orrido, ossia l’inverecondo suono di doppia cassa di Summon the Hordes del 2019. State lavorando? State rinvasando una pianta? Mettete tutto in pausa e dedicate cinque minuti della vostra vita all’ascolto di Stillwell Avenue, sua prima traccia. Sei consapevole di aver ottenuto un suono di doppia cassa di merda eppure occupi due terzi della prima canzone dell’album con la presenza ossessiva della medesima. Solo On the Seventh Day God Created… Master fece di peggio a una batteria ed alla sua grancassa: era il 1991 e nell’occasione Paul Speckmann invitò alla chitarra niente meno che Paul Masvidal, probabilmente al solo scopo di brutalizzarlo prim’ancora che lo facesse Snapchat (date un occhiata al suo profilo e capirete). Sebbene non ci fosse alcun bisogno di Masvidal là sopra, prendetevi altri cinque minuti del vostro tempo per ascoltare Latitudinarian, la traccia numero due, che, se ben ricordo, attaccava proprio con la batteria (trivia: il coproduttore era niente meno che Scott Burns).
Ma torniamo ai Nostri. È il 2022 e i Protector fanno un altro album; l’ennesimo. Sono quattro dalla reunion, altrettanti ne fecero durante la prima tranche di carriera.
Il disco ha per titolo Excessive Outburst of Depravity. Ci mostra una band che in realtà non ha per niente vissuto in quella cazzo di bolla. Ci sono piccoli rimandi ai Destroyer 666 e a tutta quella roba esplosa una ventina d’anni fa o più e che al metal estremo ha sempre abbinato una forte vena fatta di thrash primordiale e classico. L’album non ha niente dei trascorsi ai limiti del techno-thrash di Leviathan’s Desire, niente del proto-death sconclusionato di The Heritage. Non si ricollega al periodo più canonico della storia dei Protector, la cui musica è oggi filtrata da tutto ciò che Martin Missy (curiosamente defezionario proprio negli anni che ho citato, al suo posto vi era Oliver Wiebel) ha ascoltato e assimilato in materia metallica. È thrash metal violento e sporco il loro, non c’è molto da aggiungere. Se a fine anni Ottanta erano i Morbid Saint a farvi sbavare e a consegnarvi chiavi in mano il cosiddetto livello successivo, i Protector degli esordi (Golem) ne erano la controparte europea. E ancora oggi questi tizi qua tengono botta e fede a quel concetto. Non scenderò ulteriormente in particolari, le mie preferite sono probabilmente Last Stand Hill, Perpetual Blood Oath e Toiling in Sheol tutte un gradino sotto la quarta, epica e marziale Open Skies and Endless Seas, probabile apice di uno dei migliori album che ho ascoltato in questa annata a mio avviso un po’ avara di forti emozioni. (Marco Belardi)
Oh, hai fatto di tutto per non nominare “A shedding of skin”. L’unico loro disco che conosco bene perché ce l’ho fisicamente. Ora mi sento un po’ il negro della situazione.
L’album oggetto del post lo sto ascoltando con molto piacere da un po’ di tempo. Quest’anno in effetti, in ambito thrash metal, non ho apprezzato molte cose. E manco in ambito black, a dirla tutta.
Ma tornando al thrash mi sono piaciuti tantissimo due album che in un modo o nell’altro rimandano ai Sepultura:
Schizofrenia – Recollection of the Insane
The Troops of Doom – Antichrist Reborn
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