Un disco per l’estate: ALESTORM – Seventh Rum of a Seventh Rum

Avevo perso la speranza di poter dire una cosa del genere, ma pare che gli Alestorm si siano rimessi in carreggiata. Il precedente Curse of the Crystal Coconut era un’ulteriore e apparentemente irrimediabile tappa nella trasformazione della banda di Bowes in gruppo da animazione turistica, mentre questo Seventh Rum of a Seventh Rum rimette la chiesa al centro del villaggio; in altri termini gli Alestorm ritornano a concentrarsi sulla scrittura di canzoni senza pensare troppo a musichette sceme, ritornellini da aquagym, paperelle, esperimenti demenziali con rapper e roba di questo genere. Intendiamoci: non è che di colpo sono ridiventati quello che erano nei primi due dischi (i più “seri”, se vogliamo usare questo termine), ma quantomeno hanno scelto una sana via di mezzo riprendendo lo stile del terzo Back through Time e del quarto Sunset on a Golden Age. Il che è davvero quanto di meglio si potesse sperare, considerata la china presa.

Un disco decente degli Alestorm ci voleva proprio, onesto. Più nello specifico si sentiva la mancanza del concetto degli Alestorm, con tutto quello che significano o quantomeno hanno significato: un gruppo cazzone con un gran tiro che parla di pirati, ubriacature e strafottenza. La partenza con Magellan’s Expedition è programmatica, visto che è un pezzo che sembra uscito da Sunset on a Golden Age; l’unica canzone eccessivamente scema è P.A.R.T.Y., ma inserita nel contesto non dà neanche troppo fastidio. Inoltre è da sottolineare come la voce urlata del tastierista che si alterna a quella di Bowes sia un elemento che funziona e dia dinamismo ai pezzi. E persino gli assoli sono più curati, segno che stavolta si sono davvero messi d’impegno a fare le cose il più possibile per bene. Certo, poi al settimo album gli autoplagi iniziano a diventare piuttosto frequenti – il giro di Keelhauled ormai è più comune del riff di Heavy Metal Breakdown nella discografia dei Grave Digger – ma va benissimo così, ci si diverte lo stesso.

Seventh Rum of a Seventh Rum è un album da ascoltare tutto di fila, senza grossi exploit che spicchino particolarmente, a parte la clamorosa Under Blackened Banners con quel coro da mandare a memoria e da cantare sotto al palco tutti ubriachi; a tal proposito è assurdo che non l’abbiano scelta come singolo, dato che da quest’album hanno tratto ben QUATTRO video (Magellan’s Expedition, P.A.R.T.Y., The Battle of Cape Fear River e l’omonima). A proposito, qui c’è una Return to Tortuga che ho interpretato come un atto di scuse per quella terrificante Tortuga del precedente disco: il pezzo non è niente di che ma almeno è normale, quindi scuse accettate, amici. C’è pure il mitico Immobilizer a sbraitare nelle strofe.

E allora, amici e fratelli del vero metal, ora che è estate, il clima è torrido e la pazienza comincia ad esaurirsi è bello mettere su il nuovo Alestorm, alzare il volume a palla e cantare di pirati, sparatorie con moschetti e sbronze con rum scadente. Poi se proprio volete fare i completisti c’è la versione in triplo cd con l’intero album prima in versione acustica e poi for dogs, come già accaduto in passato. Se volete passare quaranta minuti in allegria sapete cosa ascoltare. (barg)

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