La finestra sul porcile: la seconda stagione di The Witcher

Dopo la stroncatura senza mezzi termini della prima serie di The Witcher da parte del Carrozzi, mi ero sentito quantomeno in dovere di stemperare un po’ l’atmosfera e di dire qualcosa di buono su un prodotto culturale che, tutto sommato, mi era piaciuto e mi aveva intrattenuto. La mia recensione (peraltro pubblicata precisamente due anni fa) si chiudeva con due auspici carichi di speranze: che tutto il marketing che era stato fatto servisse a qualcosa e facesse aumentare il budget della seconda stagione; e che le armature dei soldati di Nilfgaard venissero cambiate. Fortunatamente sono stati rispettati entrambi.

Sì, perché la seconda stagione di The Witcher si migliora in tutto e per tutto. Oltre alle armature dei soldati di Nilfgaard, i costumi sono migliorati in generale e anche Geralt (interpretato dal solito ottimo Henry Cavill) sfoggia un’armatura nuova di zecca che fa impallidire quella che utilizzava nella prima stagione. Persino gli attori sembrano essere migliorati. Il miglioramento più evidente è quello di Freya Allan nei panni di Ciri: se prima sembrava una bambina che non sapeva recitare, ora riesce a dare le giuste sfumature espressive a quello che probabilmente è il personaggio più sfaccettato e complicato da interpretare. Anche i nuovi entrati come Kim Bodnia nei panni di Vesemir, colui che ha addestrato quest’ultima generazione di witcher, danno un apporto significativo.

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La struttura narrativa, croce e delizia della prima stagione, si è fatta qui più lineare. Sicuramente non per le lamentele del pubblico (che invece hanno fatto diventare rossi i capelli di Triss Merigold), ma perché è cambiata la fonte di ispirazione. Erano gli stessi primi due libri scritti da Andrzej Sapkowski a essere frammentari, ad avere un andamento quasi singhiozzante, perché erano stati concepiti inizialmente come racconti. Questo cambiamento ha comunque permesso di approfondire maggiormente l’evoluzione dei personaggi e i loro rapporti – gestito ottimamente quello tra Geralt e Ciri, per esempio -, ma anche di dare più spazio ai vari intrighi politici – rendendo la serie forse più avvicinabile da chi si aspettava qualcosa di simile al Trono di spade. Viene dato anche maggiore spazio all’approfondimento delle tradizioni e della cosmogonia del mondo uscito dalla penna dello scrittore polacco, così come anche alla nascita della “setta” degli strighi.

Il miglioramento più evidente si è comunque avuto negli effetti speciali e nella grafica computerizzata. Provate solo a paragonare (quando la vedrete, se non l’avete già fatto) il drago d’oro della prima stagione, degno di Dragonheart, con i basilischi che compaiono a un certo punto nella seconda. O anche solo la prima puntata che, pur mantenendo in parte quell’ambientazione fiabesco-orrorifica, non risulta ai limiti del ridicolo – in questo senso si nota anche un maggiore peso avuto dai videogiochi nella creazione dell’immaginario, soprattutto nelle scene girate nelle città, dove sembra di riprendere il controller in mano e tornare a giocare The Witcher 3: Wild Hunt. Ciò ha comportato che anche le scene d’azione siano diventate più avvincenti, sebbene l’uso dello slow motion sia leggermente eccessivo – se mi permettete un paragone con la musica, i Meshuggah stanno a Matrix come il djent sta allo slow motion.

Non fate che non la guardate perché non vi è piaciuta la prima stagione. Anche perché non potete rimanere indietro: Netflix sta sostanzialmente creando un mondo condiviso (in maniera non dissimile da quanto è stato fatto con gli universi di Star Wars e Marvel), in cui si inserisce anche l’anime The Witcher: Nightmare of the Wolf, pubblicato sulla piattaforma ad agosto, con cui si ha qualche collegamento di trama – superfluo, ma ugualmente utile ad approfondire personaggi e storie, in particolare quella di Vesemir. Dopo la conclusione dell’ultima puntata è inserito anche il trailer di un altro spin off, The Witcher: Blood Origin, che dovrà uscire prima della prossima stagione (non tratto da opere di Sapkowski, ma comunque col suo placet canonizzante). È stato inoltre confermato il piano di arrivare a un totale di sette stagioni e, essendo già stata conclusa la saga letteraria, c’è anche il potenziale per non ricevere la stessa delusione del Trono di spade. Per comodità vi lascio qui sotto il riassunto della prima stagione. (Edoardo Giardina)

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