AVERE VENT’ANNI: Neurosis – A Sun That Never Sets

Is your heart still beating? Can you feel this at all? This landslide will bury us all.
With the storm on your mind and the clouds in your eyes, will you survive?
Lie in wait, I will lie awake.
Falling through a world unknown.
Ho sempre pensato che in queste poche liriche della devastante Falling Unknown vi sia la chiave di volta di A Sun That Never Sets e, per alcuni aspetti, della poetica dei Neurosis.
“Questa valanga ci seppellirà tutti (…) Sopravviverai? Resta in attesa e io attenderò in veglia”.
La straziante e dolorosa attesa di qualcosa di insuperabile che non si può bloccare o rallentare e che finirà inevitabilmente per schiacciarti.
Un’attesa in cui non si può fare a meno di ammirare l’avvento dell’inevitabile, un po’ come i protagonisti di Melancholia i quali, sempre più apatici, osservano l’asteroide avvicinarsi alla Terra, in cerca di un’improbabile salvezza o, forse, solo di una purificazione definitiva.
Questi sono (o meglio erano, dato gli ultimi lavori di apprezzabile mestiere) i Neurosis e ancor di più lo sono quelli di A Sun Never Sets, disco che rappresenta sia il culmine di un’evoluzione intrapresa sin dagli esordi e che ha trovato le sue tappe più rilevanti nel devastante Souls at Zero (in particolare nell’iniziale To Crawl Under One’s Skin) e nel capolavoro Through Silver in Blood, sia un punto di svolta per il gruppo.
Il settimo album dei Neurosis, infatti, pur ripartendo da alcune coordinate dell’ottimo predecessore Times of Grace, aggiunge molti altri elementi al post-metal/sludge caratterizzante il proprio sound. Arrivano archi, orchestrazioni, momenti di apparente quiete, ci si sposta molto spesso su atmosfere dilatate e si ricorre più di frequente all’alternanza delle voci di Scott Kelly e Steve Von Till.
Il risultato, pur essendo coerente con il passato, è comunque spiazzante come dimostra l’iniziale The Tide, uno dei brani più intensi mai scritti dai nostri, ed il miglior biglietto da visita per il disco.
Una canzone ipnotica che parte da una desolante quiete fatta di chitarre acustiche ed archi che è pronta ad esplodere in un finale che, come da titolo, finisce per spazzare tutto via (In exiled sound, Washed in with the tide, Their voices are free, Free from the sun stare, Free from the noise, Of lost souls).
La “pesantezza” che contraddistingue il finale di The Tide fa da padrone nella cadenzata From The Hill, altro brano da insegnare nelle scuole, che fa da ideale ponte verso la title-track, uno dei brani più devastanti degli ultimi vent’anni e tra le migliori prove in assoluto di Steve Von Till, scandita dagli inquietanti sampling di Noah Landis.
Il disco è poi spezzato a metà dai tredici minuti della già citata Falling Unknown, un capolavoro in cui si condensano tutto ciò che i Neurosis sono stati fino a quel momento e che getta le basi per il successivo The Eye Of Every Storm, vero e proprio inizio della “terza fase” della carriera degli americani.
Un blues sotto metadone e ketamina che, con il passare dei minuti, diventa sempre più dilatato ed essenziale per poi rianimarsi in un crescendo quasi post-rock che, però, non trova mai una catarsi “salvifica”, ma finisce per annichilire ancora di più l’ascoltatore che si troverà ad affrontare una seconda parte di album, se possibile, ancora più cupa della precedente.
Crawl Back In (impreziosita da uno straordinario Scott Kelly) e soprattutto Watchfire sono tra i brani più vicini ai precedenti lavori della band, un concentrato di dolore e disagio semplicemente inaffrontabile, contraddistinto da uno sludge oscuro, tossico e impenetrabile, culmine di un’esperienza personale devastante che accomuna i dischi solisti di Steve Von Till e di Scott Kelly, usciti a pochi mesi di distanza e che anticipano di poco l’album della band madre.
Album che si chiude con uno dei brani più celebri dei Neurosis, quella Stones From The Sky talmente perfetta da togliere il fiato nel suo claustrofobico incedere verso una catarsi che questa volta arriva, anche se attraverso ulteriore sofferenza, e pur non essendo foriera di salvezza, quantomeno riesce a portare pace e silenzio.
“Rite of this waring god
Destructive, alive, frees you now
Rivers of fear, don’t you know?
Vigil of faith stills you now
You’ve been shown over and over, don’t you know?
You’ve been shown over and over, don’t you know?”.
Che band incredibile… Da Souls at Zero a questo sono 5 capolavori di fila, 5 album devastanti, poi ci saranno ancora bei dischi ma sempre meno intensi…
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Concordo su tutta la linea, ma non sarebbe stato umano reggere un’intensità del genere. Per fortuna.
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Un disco da avere, un vero caposaldo della musica pesante per quello che a tutti gli effetti è uno degli ultimi grandissimi gruppi in circolazione, senza contare che dal vivo spazzano via quasi qualsiasi altro gruppo nei primi dieci minuti di concerto, il resto è poesia pura.
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