Avere vent’anni: STEVE VON TILL – As the Crow Flies

Neurosis in costante espansione da Through Silver in Blood in poi: tour di spalla ai Pantera, presenze sempre più in alto in cartelloni sempre più rilevanti nei festival in giro per il mondo, soprattutto la creazione e il lancio di Neurot Recordings, veicolo per il gruppo e per le uscite tangenziali al gruppo ma anche spiriti affini, compagni di viaggio e ristampe di eroi non cantati – nei primi tre anni di attività Tribes Of Neurot, Grails, Isis, Zeni Geva, Vágtázó Halottkémek. Un intero universo si andava plasmando, del tutto in linea con i tempi nuovi e i territori ancora inesplorati della discografia: Napster aveva cominciato a ridisegnare traiettorie e logiche di mercato, il viaggio era appena all’inizio. Steve Von Till, che oltre a tutto questo aveva anche un lavoro vero, si inserisce nel discorso con il primo solista in maniera tanto imprevedibile quanto anacronistica: sette pezzi messi in fila tra registrazioni casalinghe sparse tra il 1996 e il 1999, voce chitarra acustica, piano e poco altro (il violino di Annabel Lee dei Blood Axis, archi + elettronica delle micidiali Amber Asylum, in altre parole la migliore colonna sonora immaginabile per un funerale), il tutto riprocessato da Billy Anderson che è l’autore del suono dei dischi Relapse come Phil Spector era stato l’inventore del “wall of sound” in un’altra epoca. È il lato dei Neurosis che nessuno avrebbe sospettato ai tempi: rantoli mezzo Johnny Cash mezzo Townes Van Zandt ma sotto sedativi al posto di urla da scorticare le corde vocali, niente amplificatori, niente tamburi battenti, niente visuals in concerti che erano interminabili riti di iniziazione. Ma le radici sono le stesse: stesso dolore, identico sgomento di fronte alla lotta impari che alzarsi dal letto ogni mattina comporta, orrendi flash che tornano su dopo trip andati a finire malissimo decenni prima, la somma di tutte le legnate in faccia accumulate nella vita che si ripresenta e chiede il saldo finale. Arrivare al termine del disco una prova di resistenza, un test sul sistema nervoso di chiunque abbia anche solo sfiorato i luoghi della mente che As the Crow Flies rinfaccia contro a una potenza di fuoco impossibile da misurare; non c’è più bisogno di alzare la voce e il volume per evocare l’orrore del mondo in questa indescrivibile legnata doom folk che fa più male dei momenti più estremi dei Neurosis e di quasi chiunque altro. Ancora un disco uscito venti anni fa che torna attuale oggi, adesso, nei tempi infami che siamo costretti ad attraversare e nella demolizione sistematica di ogni possibile appiglio per aggrapparsi a qualcosa: We all fall, Remember, Warning of a storm e via a dalla prima all’ultima, ora più che mai diventano fotografie del presente nella più allucinante delle distopie perché è reale. È solo il primo dei tributi all’antica grande canzone americana innalzati da Steve Von Till come anche dal compare Scott Kelly di lì a poco; per Von Till tempo un altro capolavoro due anni più tardi poi il suono diventerà maniera di suono, la presa a male maniera di stare preso male, ulteriormente annacquate da troppe uscite inutili. Di Scott Kelly se ne riparlerà. (Matteo Cortesi)

3 commenti

  • Un disco assolutamente superlativo. Nessuna obiezione possibile, grandissimo Steve Von Till.

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  • Disco assurdo, come lo sono quelli di Scott Kelly.
    Dei Neurosis non parlo, li ho visti dal vivo due volte e per me sono come divinità.
    Gente che, almeno per il sottoscritto , non ha raccolto neanche un decimo di quello che merita musicalmente parlando.

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  • discone discone, io personalmente preferisco “a Life unto itself”. quest’anno è pure uscito il nuovo “No Wilderness Deep Enough”, ancora una volta diverso dai predecessori: nel caso non ne aveste parlato….”parlatelo”…come direbbe il mio vicino

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