Avere vent’anni: DESTRUCTION – The Antichrist

Ed eccoci alla sacra triade del thrash metal tedesco, un fermo immagine di Avere vent’anni che aspettavo a gloria. Sodom, Kreator, Destruction, rigorosamente posizionati in ordine di preferenza, tutt’e tre sul mercato con un album nel corso del 2001; ma, in particolar modo, tutt’e tre a segno, giacché riscossero un consenso un po’ unanime pur presentando prodotti il cui target andava a parare in direzioni diametralmente opposte. Fu una sorta di mitragliata: i Destruction aprirono le danze in agosto seguiti dai Kreator un mese più tardi e dai Sodom in ottobre. Non ci fu alcuna tregua e il peso specifico dell’evento fu rafforzato da un tour che li avrebbe radunati tutti e tre con tanto di tappa il gennaio seguente al Rock Planet di Pinarella di Cervia.

L’album dei Destruction è quello che considero un classico assodato dei tempi nostri. Sono particolarmente affezionato ai capisaldi del thrash metal crucco, e fra i miei preferiti dei Destruction incoronerei senza alcun dubbio Infernal Overkill e Release from Agony; eppur si debbono considerare le necessità di chi al thrash metal si avvicinò dopo lo spartiacque del 1999, The Gathering, una sorta di lasciapassare per un genere musicale dato a ragion veduta per defunto. Oltre quella data uscirono non pochi album caldamente accolti da stampa e supporter di vecchia data, e che i fan di nuova generazione riuscirono a imprimere nella propria memoria. Per quanto io gli preferisca i titoli del 1985 e 1988 (anzi, per quanto io gli preferisca ogni uscita storica sino a Cracked Brain) devo ammettere che The Antichrist dei Destruction è ad oggi considerabile un classico. Nulla si può dire su Nailed to the Cross, loro miglior canzone dai tempi che furono, e nemmeno sulla paraculissima Thrash ‘till Death firmata da coloro che, sino a pochi anni prima, avevano bellamente giochicchiato a fare i metallari evoluti che decostruiscono un mito, l’heavy metal, per cazzeggiarci sopra alla stregua dell’adolescente che entra a Messa e inizia a disegnare cazzi con l’evidenziatore sul foglietto delle preghiere del giorno. Fanculo loro e fanculo i Morgoth in giallo, e fanculo a tutti coloro che avrebbero innescato la retromarcia come nulla fosse. Era il rovescio della medaglia degli anni Novanta della deprivazione metallica, un inizio di millennio in cui si sarebbe fatto a gara ad esser più convinti del vicino di casa e dei sé stessi di soli cinque anni prima. Il tutto senza alcun pudore, d’innanzi a una platea di metallari abituata a lapidare e dare al rogo big band come il Giordano Bruno di turno, per poi dimenticare in un batter d’occhio.

Un bell’album The Antichrist, ultimo gettone per Sven Vormann, poi nei Poltergeist e prontamente sostituito un anno più in là da Marc Reign, quest’ultimo certamente più longevo e destinato a sua volta a lasciare proprio in direzione Morgoth. Ad ogni modo, fu più che accettabile anche il seguente Metal Discharge, ma i Destruction, su questi livelli, non si sarebbero più rivisti. Tempi già moderni, ma beato e ben presto sofferente chi c’era. (Marco Belardi)

One comment

  • Bel disco e anche l’ultimo dei Destruction che mi sia piaciuto, già quello dopo a mio avviso era evitabile. Tra l’altro ho una delle prime stampe, dove la tracklist di copertina era sbagliata

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