I MORGOTH e la pratica tenda che si monta da sola

Vi debbo raccontare di quella volta che mi fu presentato il Casentinese, una figura che avevo sentito rammentare in racconti talmente grotteschi al punto che quasi non credevo esistesse. Una sera d’estate me lo ritrovai davanti al ristorante greco e m’offrì fisicamente, visivamente, verbalmente conferma dei limiti oltre i quali può spingersi la specie umana. A proprio discapito, intendo.

Avrei aneddoti sufficienti a scrivere un libro dedicato alla sua persona, come quella volta che comperò un Qashqai, cilindrata mille e sette benzina, per poi accorgersi che consumava troppo fin dai primi giorni di utilizzo. Rivendette subito il SUV, con una rimessa, spero a cuor leggero, di qualche migliaio di euro. O come quella volta che ci rendemmo conto che nei suoi racconti di pesca, mai corredati da fotografie comprovanti, a ogni uscita pescava “una carpa di sette chili e mezzo al cala sole”. Pesci con la puntualità di un pendolare lombardo che prende il treno prima per non sgarrare.

Ma la volta che sorprese noi tutti fu quando inscenò un raro compendio di economia e testardaggine, che finì col tradirlo, se non addirittura congelarlo, nel corso una sessione nemmeno troppo estrema.

Il carpfishing è praticato in uscite di pesca, denominate appunto sessioni, la cui durata può protrarsi oltre i due o tre giorni. Occorre quindi una tenda, altrimenti si dorme in macchina, e quest’ultima può essere parcheggiata a centinaia di metri dalla postazione di pesca se lo spot è dei più selvaggi e inaccessibili. O se il terreno è difficile da picchettare a causa del suolo roccioso. Tralasciando la reale efficacia del mimetismo, le caratteristiche fondamentali di una tenda da carpfishing sono le seguenti: la sua struttura dovrà essere robusta e svilupparsi in larghezza, anziché in altezza, perché alla comodità preferiremo una buona resistenza al vento e perché dovrà dar alloggio a una brandina di generose dimensioni che, appunto, sarà bassa e di forma allungata. Inoltre avremo bisogno d’un pavimento impermeabile in spesso PVC, un sovra-telo avente la funzione di seconda parete (molto utile, se non del tutto necessario, dall’autunno in poi) e piccole finestrelle con zip per facilitare il ricircolo dell’aria nelle notti più torride. Una buona tenda da carpfishing da un posto può costare intorno ai trecentocinquanta euro: non quanto un Qashqai mille e sette benzina, ma è una cifra comunque non trascurabile.

Il Casentinese ci derise non appena gli presentammo la nostra attrezzatura, in cui figuravano tende del genere. Lui probabilmente nemmeno aveva bisogno di un bivacco fisso, stabile e confortevole, perché era capace di fare cento chilometri per recarsi sul lago e, alla comparsa delle prime formazioni nuvolose all’orizzonte, avrebbe smontato tutto gridando “al temporale!”. Il nervosismo con cui smontava le costose canne in fibra di carbonio alla vista di una nuvola pannosa rischiava di fargli spezzare gli innesti a spigot. Ci mostrò tuttavia la sua ideologia di accampamento estremo e le fondamenta su cui costruirla.

Comparve con una tenda presa a un supermercato sportivo, quelle del celebre brevetto secondo il quale basta lanciarle per terra, ancora chiuse, e loro si monteranno da sole in un attimo. Era effettivamente così, lui l’avrebbe lanciata per terra, e questa, proprio come un Transformer di Michael Bay, avrebbe assunto la sua forma definitiva in pochi secondi, necessitando solo d’essere picchettata al terreno e riempita d’attrezzatura, cibo, riviste porno per passare la notte. La tenda, affermava fiero, non gli era costata niente in confronto alle nostre; inoltre era alta e dunque piuttosto confortevole. In quella precisa sessione non c’ero ma mi raccontarono tutto, e si verificarono codesti eventi a cui fermamente credo per il solo fatto di aver conosciuto il personaggio in oggetto.

L’umidità lo rivestì di rugiada in continuazione, perché il telo esterno, oltre che singolo, non aveva la benché minima impermeabilità. O almeno non era adatto a niente che non fosse una nottata di luglio a copulare in un campeggio marittimo. Decise di andare a letto presto, e nel farlo prese la brandina, lunga poco meno di due metri, e la inserì attraverso la zip d’ingresso. Rimase in silenzio per alcuni secondi mentre il suo compagno di pesca lo scrutava beffardo dalle sponde del ventoso lago di Suviana.

La brandina non c’entrava. Normalmente in questi supermarket sportivi ti vendono un prodotto specificando peso, dimensioni, materiali e perfino il grado di traspirabilità del vestiario. Insomma, tutto l’occorrente per tranquillizzare il dilettante che spende e consuma. Lui non calcolò minimamente la più importante delle cose: doveva dormirci, lì dentro, e non soltanto spendere meno di noi. Per tutta la notte sporse dalla zip un vistoso pezzo della sua brandina, e i piedi del Casentinese gravavano su di essa come una scena del crimine in attesa d’essere analizzata. Mancavano soltanto i nastri gialli della narcotici. Una descrizione, quella che mi fecero, che era rassomigliante a un vero e proprio Orrore.

Al mattino il burbero Casentinese era ricoperto di brina ghiacciata, e dovette aver patito le pene dell’Inferno: sotto la doccia costante di una insistente rugiada e pure nel gelo lancinante dell’Appennino Tosco-Emiliano. Una sua metà stava meglio eppure peggio dell’altra, e, in qualche modo, ai primi raggi solari riuscì ad alzarsi indenne dal mortale giaciglio, da questa sorta di Bivacco della Morte posto in bassa quota.

Smontare l’attrezzatura fu un gioco da ragazzi, per lui che era abituato a fuggire alla spaventosa vista di cirri e cumulonembi. A un certo punto, però, dovette rimettere in custodia quella tenda, e, se hanno realizzato ad hoc un tutorial per spiegare come si fa, evidentemente, non si tratta di un gesto estremamente banale come lo è il suo inverosimile e teatrale montaggio mostrato a suon di campi pieni di farfalle e campeggiatori che sorridono.

Ho posseduto una di quelle tende in passato, e la soluzione a un certo punto non fu il mercatino solidale dell’usato, bensì il cassonetto. In sostanza, per richiuderla devi montarci sopra a un’estremità, afferrare le due opposte e tirarle verso di te, mettendoci sopra le ginocchia. La devi mantenere in tensione col tuo peso altrimenti si riaprirà di nuovo, cosa a cui il Casentinese non arrivò affatto. Sotto di te ti ritroverai due specie di cerchi. A quel punto tiri la parte centrale verso i cerchi, e, se qualcuno filmasse o fotografasse il tutto dall’alto, si vedrebbe chiaramente che stai cercando di disegnare una sorta di cazzo con quel che rimane di una tenda sportiva. Ha esattamente la forma di un cazzo quando la stai richiudendo, ve lo giuro e se ne avessi ancora una mi adopererei per documentare il tutto. Dopodiché ribalti un cerchio, e poi l’altro, sulla parte centrale, allinei il tutto e chiudi la cerniera: ritorna tonda, più o meno come era appena l’hai comprata. Il Casentinese dovette aver vissuto un autentico incubo, nel tentar di fare tutto questo.

Il suo socio di pesca, che per coloro che praticano il carpfishing è una roba seriosa un po’ come le coppie di poliziotti dei film americani, mi raccontò che lo vide gettare la tenda ancora montata nel SUV, piegata a forza ma intatta, e che, alcuni giorni dopo, passò da casa sua per ritornare a pesca insieme: la tenda era in giardino, eretta, come un monumento che nessun progressista revisionista è ancora riuscito a tirar giù da una piazza stanco dei concetti inumani che quel vecchio politico nazionalista, e mezzo dittatore, andò proclamando d’innanzi ai popoli.

Quale colonna sonora per uno come il Casentinese? Ma naturalmente Feel Sorry for the Fanatic dei Morgoth, album del 1996 che, accompagnato da una sequela interminabile di altisonanti dichiarazioni anti-fan, anti-passato, anti-tutto molto simili agli intenti di coloro che tirano giù storia e monumenti dalle piazze, finì col ritorcersi contro il gruppo tedesco non appena questi s’accorsero che erano incapaci di mettere in piedi una qualunque parvenza di svolta “commerciabile”, “vendibile”, “appetibile”, anche agli occhi dei loro stessi parenti di primo grado. Non solo, quella roba erano anche incapaci di smontarla, e rimase loro appiccicata per anni come quei foglietti pieni di insulti che ci attaccavamo dietro ai giubbotti alle superiori. Ci ho provato mezz’ora fa a rimetterlo su ed è palese: non gli riuscì, furono tanto inetti come il Casentinese in quelle valli popolate da cervi, lupi, cinghiali, e carpe di oltre venti chili di peso che personalmente non ho mai catturato. Ma almeno dormivo bene anche in prossimità dello zero. La batteria tribale, le allettanti chitarre che di tanto in tanto richiamavano i Voivod e saltellavano da un’influenza a un’altra in un mare di canzoni inconsistenti e intitolate come uno che vorrebbe insultare chi è appassionato alla Musica farebbe.

This Fantastic Decade, esattamente a metà del suo decorso mentre codesti crucchi che già avevano avuto un culo esagerato nello sdoganare il discreto Odium si trovavano alla frutta, a intitolare un altro brano Cash per poi non contarne neanche un po’ e chiudere il bandone. In un certo senso il 1996 fu l’annata degli sbrocchi mestruali di chi voleva buttar giù tutto e ricostruire, e, nel farlo con arroganza, si ritrovò una roba impolverata in giardino che ben presto, e in mancanza d’altro, gli sarebbe tornata comoda il giorno in cui sarebbero rientrati in studio per registrare Ungod. (Marco Belardi)

4 commenti

  • Non lo so, in centro Italia so di Marsicani affamati di natiche da sverginare per cui prima di andare per laghi con tenducole della Lidl prenderei informazioni da farmer locali, a meno che non siate come Bear Grylls che magia vermi e beve piscio.

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  • Ebbi un esperienza con tale tenda al mio primo Wacken nel 2006…. montata in 6 secondi tra li applausi generali…. cercato di richiederla ubriaco, di notte, sotto un monsone che copioso vi salutava…. la carica sul pulman alla cazzo di cane è venne abbandonata il giorno seguente in un cassonetto nei pressi del confine svizzero dopo minacce dell’autista.

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    • Stesso problema nello stesso posto, dopo anni e anni di tende normali provai la famosa 2 second, soldi buttati,senza anticamera utilissima per stipare anfibi e residuati della giornata, impermeabile solo in caso di cielo limpido e spaziosa quando uno zaino. L’ho presa a bastonate per la disperazione e poi gli ho dato fuoco.

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  • Mi mancano queste storie di vita vissuta ma al solo leggere il titolo ” feel sorry for the fanatics” mi viene l’orticaria. Sì che a me i Morgoth piacevano parecchio ma questo è un disco talmente di merda che è riuscito a farmi venire in uggia anche i precedenti. Non ascolto questi vinili da tempo immemore, se solo penso a fsftf nemmeno mi viene voglia di riprenderli. Uno shock. Naturalmente fu venduto alla bancarella per 4 lire, cosa che non è da me ma certe porcherie mi inquinano lo scaffale della collezione come la frutta marcia.

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