Il menù della sagra del sanguinaccio: BLOODY HELL – The Bloodening

Se penso a come vorrei che i gruppi heavy metal odierni fossero, mi vengono in mente un sacco di aggettivi: scorretti, soprattutto politicamente, e poi antipatici, volgari. Assomiglia alla definizione degli arrogantissimi White Wizzard. Vorrei la abbozzassimo con questo alone di solidarietà e benevolenza che ha trasformato il calderone in una sorta di serata di gala, o partitella al Franchi fra la Nazionale Cantanti e quella Piloti. Un heavy metal così ridotto non mi dice più niente. Nell’invecchiare è chiaro che non tutti manterranno quella testa calda che fece ripetutamente arrestare Vince Neil prima che scoprisse l’arista con le patate arrosto. Ma se i giovani non riprenderanno ad ascoltare l’heavy metal, e non soltanto a suonarlo, sarà tutto vano. In caso certi connotati siano latenti, resta a disposizione l’ipotesi messa in scena. La cosiddetta “gimmick”, a cui accennò su queste pagine l’ottimo Messicano.
Per messa in scena non intendo i Gwar o i socialmente più accettabili Lordi, e cioè una carnevalesca attuazione dell’heavy metal per mezzo di un orrendo vestiario e di titoli come I’m in Love (With a Dead Dog). Intendo il costruire tutto a tavolino, il far percepire l’esistenza del trucco riuscendo ugualmente a passare il concetto dal comunicatore al destinatario: l’heavy metal non è una roba per tutti, è per chi ha lo stomaco sufficientemente foderato da recepirlo. Non importa che la musica in dotazione sia fantastica, una cosa simile la troverai almeno simpatica e in certi versi arriverà perfino a piacerti. Per i Lordi resta sempre il buon vecchio lanciafiamme, purché sia carico.
Oggi è il turno dei Bloody Hell, finlandesi, al secondo album ufficiale intitolato The Bloodening: autocitazionismo preventivo, attitudine da gradassi, titoli come se tenessimo in mano il menù alla sagra del sanguinaccio, buristo e roventino. Composti per metà formazione da gentaglia già attiva nei pessimi Metal de Facto che fecero esplodere i bulbi oculari al Bargone per la meraviglia, i Bloody Hell sono una di quelle entità che ami oppure detesti. Sul piatto della bilancia potranno pesare maggiormente i loro pregi o i loro difetti, sono entrambi numerosissimi. Dipende da cosa t’interessa, e dipende dalle nefandezze per le quali sarai disposto a chiudere un occhio. A partire ad esempio dal minutaggio, gonfiato a dismisura da canzoni evitabili come la conclusiva e di per sé lunghissima Kiesma.
The Bloodening, rimandi culinari a parte, è una sorta di sunto moderno e aggressivo dell’heavy metal, e gli ingredienti al suo interno risultano i più disparati, talvolta anche i più casuali. Partiamo dalla prima canzone: arpeggio di chitarra alla Fight Fire With Fire, un bridge che pare uscito dal Tom Araya più urlante e sguaiato. I Bloody Hell cominciano il disco dicendoti innanzitutto ciò che non sono.
All’interno dell’album trovano luogo linee vocali principalmente ricollegabili ai Grave Digger, chitarre ora alla Accept ora alla Judas Priest, e un bel basso pulsante sulla falsariga dell’heavy metal più ritmato e commerciale di metà anni Ottanta. C’è pure una canzone, Smoking, probabilmente la migliore fra tutte, che sembra voler tributare l’Ozzy Osbourne solista. C’è tutto, probabilmente c’è troppo. Ma c’è una cosa che non è assolutamente di troppo, il loro piglio. Che è farsesco, circense, furbo, ma almeno è presente e voluto.
E non costituisce affatto una novità: è sempre stato così, fin dalla notte dei tempi. C’è sempre stato chi “viveva uno stile” e chi lo riproduceva fedelmente e abilmente, dagli albori del genere al black metal, con nessuna eccezione o quasi.
Ne consegue che l’heavy metal d’oggi non assomiglia tanto a una messa in scena quanto ad una minestra annacquata che non fa più incazzare i predicatori, i moralisti, i bigotti, i genitori del diciottenne con le cuffie al massimo: e la musica ne risente sempre, ve lo garantisco. Paradossalmente un artista rende al meglio scrivendo per sé stesso anziché per gli altri: è lì l’effetto sorpresa, la nascita dei filoni musicali secondari di cui abbiamo goduto per tutti gli anni Novanta. Nell’heavy metal testardo e irriverente da classifica la regola si ribalta al contrario: costruisci a tavolino includendo il fattore nauseabondo, disturbante, perfino un po’ esilarante e satirico. Gioca, in sostanza, sulla scia di chi gioca meglio di te, o da prima di te. Ma non annacquarlo.
Poche volte sento l’heavy metal odierno andare in quella direzione. I Bloody Hell non avranno devastato camere d’albergo o pisciato su un monumento come accadde al Madman. Né hanno un Vince Neil al loro arco, perché, se oggigiorno la musica dispone di matti, di anarchici o di delinquenti con l’animo disturbato dell’artista, in un numero assolutamente sovrastante staranno a suonare tutt’altro che heavy metal. Suoneranno piuttosto qualcosa che attecchisce su di un pubblico giovanile. Eppure nei Bloody Hell riecheggiano quella volgarità, quella strafottenza che oggi nel genere intero sono venute meno, con l’invecchiare delle generazioni e con lo sbiadirsi dell’interesse mediatico nei nostri confronti. Recitata, fasulla, ma palpabile.
Poco importa se un pezzo attacca come i The Darkness, se Bite scopiazza i Motorhead e se un altro brano farà il verso all’heavy metal sparato ai massimi volumi del 1986. Poco importa se non sono coesi, The Bloodening te lo dice subito che è un collage. Poco importa se certe scelte risultano discutibili: per otto o dieci volte ho riascoltato The Bloodening con un misto di interesse, curiosità e vistoso coinvolgimento, e adesso sta a loro contribuire a riavviare il tutto, oppure mollare e vedere l’heavy metal per quello che effettivamente è. Un revival. E non per quello che potrà riprendere ad essere, sé stesso. E io sono molto scettico, perché quei dinosauri dalla vetta dei cartelloni pubblicitari sarà dura scalzarli, e un Chris Boltendahl con la voce a pezzi richiamerà infinitamente più “teste” che un tale attivo nei Metal de Facto che sproloquia su Satana, vomita a fine pezzo e assembla ottimi riff di una natura un po’ troppo variopinta. (Marco Belardi)
“scorretti, soprattutto politicamente”. E a che pubblico si dovrebbero rivolgere se la maggior parte dei metallari che conosco si stanno dimostrando corretti politicamente.
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Non so tu, ma io non son diventato metallaro perchè quella roba lì stava sul cazzo a certa gente (predicatori, genitori, insegnanti, etc etc), ma perchè piaceva a ME. E penso che la regola numero uno del metallaro non sia “non devo piacere a X”, ma: “gli altri si fottano”.
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Pienamente d’accordo con LUC
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