MY DYING BRIDE – The Ghost of Orion

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Gli eventi, per i My Dying Bride, sembra ritornino in modo ciclico, drammaticamente. La preparazione di Feel the Misery era stata funestata da un cambio di line-up – se ne era andato Glencross, lasciando a Craighan l’onere di comporre la maggior parte dei pezzi – e da una morte, quella del padre di Stainthorpe; quella di The Ghost of Orion è stata funestata a sua volta da un ulteriore cambio di formazione pesante – va via Robertshaw, lasciando al solito Craighan il compito di tirare avanti la baracca – e da un alone ancora peggiore di tragedia, che però non si è compiuta, in quanto la figlia di Stainthorpe ha superato la malattia. Ad aumentare ulteriormente un coefficiente di difficoltà già impietosamente gravoso, il cambio di label (Peaceville) e di producer (Mags) di sempre. Autoesplicativi, a questo punto, appaiono i motivi del lunghissimo ritardo di quest’ultima uscita discografica rispetto agli standard della band di Halifax, la quale generalmente non si è mai fatta attendere molto, anzi ha spesso suonato al nostro campanello con puntualità, alternando album di grande pregio ad EP parimenti meritevoli.

Il tempo è il penoso arabesco che decora la tela di The Ghost of Orion. Il tempo scandito dai rintocchi di un orologio a pendolo che ha iniziato a recitare la sua ineluttabile verità trent’anni or sono. Il tempo vissuto nei suoi recessi più profondi, che ritorna nei testi. Il tempo che spegne i dolori e dà conforto, The Solace, scivola via e smussa le lame laceranti del rimorso. E poi c’è la tassa da pagare a lui, the doom of your: il Destino stesso è la nemesi di chi canta il destino. Your broken shore. 

Ma non basta. Ancora una volta, il tempo che occorre per assimilare ogni disco dei My Dying Bride, per interiorizzarlo al di là delle sue qualità estrinseche e più immediate che afferiscono alla sfera del palese: le note nella loro successione. Non penso di esagerare nel paragonare le opere degli inglesi ad un viaggio nel loro cuore di tenebra, che è inevitabilmente riflesso nel nostro, che è molto spesso anche il nostro allorquando le cose della vita, che sono sempre le stesse per tutti, ripetibili, seppur nella loro unica e personale drammaticità, si sovrappongono nella memoria. Non sono solo canzonette, non lo sono mai state. Ogni volta, dunque, ci si confronta con una sensibilità che probabilmente non ha eguali nello scenario musicale contemporaneo, se per contemporaneo ci si riferisce a quei trent’anni di carriera. Cantare la sofferenza, la catarsi dalla stessa, l’angoscia e l’affrancamento dai suoi a volte irrecuperabili effetti, è da sempre la cifra dei My Dying Bride, lo è ancora una volta.

The Ghost of Orion subisce l’influenza di tutto ciò, assorbe e restituisce sensazioni difficili da maneggiare. Lo fa con una naturalezza nuova ma allo stesso tempo antica. Nuova in quanto diversa dallo stile dei dischi più recenti, antica perché riprende nella composizione sonorità più leggere ed eteree che risalgono nel tempo agli esordi della band. Al netto di una indiscutibile e mai celata predilezione personale, con questo album i My Dying Bride segnano un’altra vetta difficile da scalare, un album che si pone al fianco delle migliori produzioni di sempre nel proprio pantheon artistico. (Charles)

2 commenti

  • I read between the gemstones, that dripped from her lips for me…

    Conosco una madre che ha perso suo figlio per una malattia simile. Ha smesso, per troppo dolore, di chiedere a un cielo vuoto: perché…?
    Ora teme per la figlia rimasta. Le sta addosso angosciosamente, rapita dalla paura che tutto possa ripetersi. Come sopportare l’idea che anche lei si ammali? Questo mi chiede.
    Cosa succederebbe invece se questa figlia stesse bene? Lei ha bisogno di sentire che la madre dia per buono un assunto rovesciato, che liberi entrambe dal fantasma di un destino già scritto.

    Il Doom non è la musica del destino. Non esattamente. È il suono dei primi passi che muovono dall’ineluttabile. Verso l’ignoto.

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  • l’embedded mi ha ricordato un casino i Warning di Watching from a Distance

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