THE BLACK DAHLIA MURDER – Nightbringers
Se siete appassionati al cinema horror italiano degli anni settanta, avrete quasi sicuramente visto La casa dalle finestre che ridono. Nonostante conosca praticamente a memoria la pellicola di Pupi Avati, tutte le volte che lo rivedo e il parroco la smette di usare la sua fittizia voce maschile, mostrando la tetta al povero Lino Capolicchio, ci rimango di sasso e mi convinco ancora di più della assoluta genialità di quella arrembante mezz’ora finale di film. Quando l’effetto sorpresa in un disco rock o metal mi rende altrettanto esterrefatto, molte volte è segno buono: è accaduto lo scorso anno con l’incompreso Magma dei Gojira e pure con quella sassata a nome Meshuggah, e forse quest’anno sto ancora aspettando di provare una vera, pura gioia di cui scrivere qualche estasiata riga. Today is not the day, e con i The Black Dahlia Murder ho un conto in sospeso dai tempi in cui facevano cose più che discrete: da loro ho sempre preteso tanto e ottenuto la netta ma non soddisfacente sufficienza.
Ricordo che venni particolarmente colpito dall’attacco massiccio di Miasma, e che nel successivo Nocturnal li confermai come una band da tenere d’occhio nonostante le forti derive europee. Sono di Detroit, ma i punti di riferimento – dopo anni di cambi di formazione – sono sempre il metalcore come punto d’arrivo, ma soprattutto At The Gates e affini in partenza. Qualche buon riffone alla Lamb Of God alternato a tanta melodia insomma, con blastbeat che ricordano Insanity dei Darkane anche per l’impostazione della batteria e il massacro costante sulla campana del piatto ride. La loro evoluzione, se così vogliamo chiamarla, li ha portati nel 2017 ad appesantire ulteriormente il suono – anche se dopo le due tracce iniziali sembrerebbe tutto quanto invariato, e verrebbe da non procedere con l’ascolto.

“Sorella?”
Il meglio di Nightbringers sta nella sua parte centrale, ma a essere benevoli anche nel retrogusto black della conclusiva The Lonely Deceased: la titletrack rallenta saggiamente i ritmi e insegna agli Arch Enemy come dovrebbero fare il loro mestiere, mentre la successiva Jars devasta semplicemente tutto quanto, mettendo in mostra anche qualche efficace dissonanza. Nightbringers è concentrato a mio avviso tutto lì, oltre che nel thrash più classico della buona Kings Of The Nightworld, e per il resto – pesantezza a parte – i The Black Dahlia Murder continuano ad essere una band che già all’epoca dei due migliori album non mi pareva eccezionale – ma speravo arrivasse a perfezionarsi in breve tempo. Sono passati dieci anni, e pur essendo impossibile bocciare un prodotto come questo, ben confezionato e suonato, l’ennesimo capitolo in studio degli americani soffre soprattutto di uno stile da rivedere e che rispecchia qualcosa che quindici anni fa era già in profonda saturazione discografica a causa dei numerosi emuli di Soilwork e compagnia bella.
Nessun salto sulla poltrona insomma, e neanche una pomiciata a sala gremita, davanti a una Sandra Bullock che riscopre l’amore a quarant’anni dopo numerosi fallimenti causati dall’insensibilità maschile; ma se vi avanza mezz’ora di tempo non sarà del tutto sprecata. (Marco Belardi)
ormai non c’e’ piu’ niente da inventare,l’onesta’ intellettuale e il buon artigianato possono bastare.
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Avendoli “scoperti” con Ritual, resto particolarmente legato a quel disco, complice la presenza alla solista del fenomeno Ryan Knight. Quel disco resta un perfetto microcosmo dei pregi e dei difetti dei TBDM: quando il giochino funziona, i brani escono veloci, riffati, dinamici e memorabili; quando non funziona infilano pezzi un po’ tutti uguali, inutilmente muscolari. Ecco, questo Nightbringers è un po’ come le cose meno riuscite dei dischi precedenti: più pesante, più veloce, più pestone, ma alla fine della fiera in testa rimane poco, con l’aggravante che senza Knight gli assoli, pur restando ottimi, non ti fanno cadere la mascella sul pavimento. Peccato, perché appena il gruppo osa un pochino di più, i risultati arrivano, vedi la title track, Kings Of The Nightworld e la conclusiva The Lonely Deceased, ottime aggiunte per la playlist che pompa da palestra.
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Vuoi qualcosa metal per cui saltare dalla sedia quest’anno? Witherfall – Nocturnes and Requiems. Un capolavoro. Punto.
Poi ci sono altre due cose che mi hanno fatto saltare dalla sedia (sedile della macchina, più che altro) di recente, anche se col metal c’entrano poco o così e così. Soror Dolorosa (Apollo) e Leprous (Malina).
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Jake Dreyer man! parlando di chitarristi col botto =) ps. se vuoi riprenderti dalla delusione di Malina, butta un ascolto su Artificial Language – The Observer!
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Grazie Stefano.
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