Ex cathedra: BLACK MOUNTAIN – IV

homepage_large_3b563f7cChe soddisfazione quando ti capita di recensire il nuovo album di un gruppo che già stimavi precedentemente e che da subito, dalla prima traccia, lascia presagire il mezzo capolavoro; che gran gusto quando lo finisci e la prima cosa che vorresti scrivere è ‘questo è il miglior disco della carriera’; che sollazzo quando poi ti vai a rileggere la recensione dell’album precedente nella quale avevi scritto la medesima cosa. Si aggiunga pure che tutto questo gaudio e giubilo, incomprensibile a chi non è stato battezzato nel nome del dio del rock, diventa pura estasi quando ti capita di ascoltare per la prima volta ‘il mezzo capolavoro’ di cui sopra in un festival internazionale circondato da strafattoni e hippie debosciati che hanno superato gli anta da un pezzo e con animo così ben disposto torni a casa e trovi pure le conferme che ti aspettavi: ebbene sì, cari fratelli del vero metal contaminato, IV, a parere del vostro umile scribacchino, è il miglior disco della carriera dei Black Mountain. Facendo per un attimo finta di essere uno che ne sa, posso pure dirvi due o tre cose in più. Tipo che IV si pone concettualmente nel mezzo della produzione dei canadesi e da una parte ne riassume un po’ le ‘posizioni’ storiche, mi riferisco al riferimento vintage al rock settantiano e la prog-psichedelia, dall’altra dà un forte colpo di acceleratore verso space rock e new wave, grazie ad un massiccio utilizzo dell’elettronica e sonorità molto familiari, senza rinnegare l’approccio più easy listening di Wilderness Heart.

La voce potente di Amber Webber, che dal vivo si imponeva come assoluta protagonista rendendomi quasi molesti gli interventi di quella ‘effeminata’ del chitarrista Stephen McBean, nell’ascolto su disco è uno strumento come gli altri, quindi omogenea, integrata nel contesto e non spicca per particolari virtuosismi. Qui i suddetti duetti vocali col chitarrista vengono fuori naturali e se non lo avessi visto coi miei occhi sarei portato a credere che al secondo microfono vi sia una cantante di spalla. La parte strumentale denota grande abilità tecnica e, cosa che me li rende particolarmente simpatici e vicini ai miei gusti attuali, per nulla ostentativa. Come abbiano fatto a rendere il tutto così equilibrato e armonioso è un mistero che lascerò risolvere a quelli di voi che ancora non hanno ascoltato IV. In conclusione, una riflessione su un gruppo che personalmente, in seguito alla pubblicazione (e adorazione) dell’album del 2010, era caduto nel dimenticatoio perché nel frattempo il genere si è sviluppato al punto da diventare ingestibile, ma che ne risorge ben sei anni dopo con un top album de facto che andrà tenuto in maggior considerazione negli anni a venire. Amen. (Charles)

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