Avere vent’anni: BATTLELORE – Sword’s Song

Negli ultimi tempi ho già affrontato l’argomento Battlelore, prima a causa dell’insaspettato ritorno, dopo undici anni di silenzio, con l’ultimo The Return of the Shadow, e poi per il ventennale del debutto Where the Shadows Lie. Come detto, sono uno dei miei gruppi-feticcio: piacciono a pochissimi, ma io ne vado pazzo. E il vero innamoramento risale proprio all’ascolto di questo Sword’s Song, secondo disco del gruppo finlandese.
Qui i Battlelore continuano a ricostruire il mondo incantato di Tolkien, muovendosi tra i mille paesaggi che lo compongono, dosando le voci dei due cantanti per meglio adattarsi alle varie atmosfere e usando quasi sempre il meccanismo della ripetizione ipnotica. Sons of Riddermark apre il disco con la marcia cadenzata dei cavalieri di Rohan che galoppano verso la battaglia più cruciale della loro epoca; spinge sull’epica anche The War of Wrath, che rivive quell’episodio dell’antica mitologia tolkieniana ammantandolo di un’atmosfera eroica; al contrario Attack of the Orcs è storta e disordinata come ci si immagina sia un’azione degli orchi; o ancora Buccaneers’ Inn, in cui a parlare sono i pirati numenoreani (il testo fa confusione tra corsari e pirati, ma vabbè), è un pezzo dritto, semplice e frizzante, quasi da pogo, per quanto possa essere da pogo un pezzo dei Battlelore.
È un disco più solido rispetto al precedente, perché qui il gruppo di Jyri Vahvanen (già membro storico dei primi Horna, la cosa non smetterà mai di stupirmi) trova finalmente la quadra, riuscendo a dosare meglio tutte i vari elementi del proprio stile. Stile che peraltro è indefinibile e impossibile da incasellare; ci ho provato varie volte senza successo, quindi non cercherò di farlo di nuovo. Sword’s Song comunque mantiene l’atmosfera malinconica e fiabesca del debutto ma spesso ne rende gli spigoli più acuminati, diciamo così, e come risultato si hanno alcuni pezzi più compatti e diretti. Rimane comunque un album che va ascoltato dall’inizio alla fine; certo, canzoni come Forked Height o Buccaneers’ Inn funzionano anche prese singolarmente, ma per potersi perdere nelle sue atmosfere la cosa migliore è prendersi tre quarti d’ora di tempo, ascoltarlo in cuffia e immergersi in quel mondo che i Battlelore riescono magistralmente a riportare in vita, al netto di qualche pronuncia sbagliata qua e là.
La nota a margine rimane comunque la solita: i Battlelore non sono un gruppo che può piacere a tutti. A molti potrebbe dare fastidio il loro essere leggerini, altri potranno concentrarsi troppo sul vocino flebile di Kaisa Jouhki, altri ancora provano fastidio per le tematiche tolkieniane in qualsiasi modo vengano declinate, eccetera. Del resto se piacessero a tutti non sarebbero definibili come gruppo-feticcio. (barg)
Che bella e interessante l’ultima frase!
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Io AMO la voce di Kaisa!
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