Avere vent’anni: BATTLELORE – Where the Shadows Lie

Dei Battlelore parlai proprio su queste pagine a proposito del loro ultimo album, undici anni fa. Nel frattempo abbiamo fatto tutto il giro ed eccoci qui a trattare del loro debutto, Where the Shadows Lie, che ascoltai per caso non ricordo più in che occasione. Il primo impatto non fu ottimo, dato che i Nostri all’inizio andavano vestiti in maschera da personaggi tolkieniani e avevano una copertina tremenda, ma fortunatamente il passare degli ascolti diradò le mie perplessità. All’epoca Where the Shadows Lie mi piacque il giusto, diciamo, dato che fu il successivo Sword’s Song a farli diventare uno dei miei massimi gruppi-feticcio; ed è vero che questo debutto non è all’altezza del secondo album (e probabilmente neanche del terzo e del sesto, il succitato Doombound), ma è anche vero che il meglio lo dà sulla lunga distanza.
Il genere è abbastanza indefinibile. Il duetto tra cantato femminile angelico e cantato maschile pulito/growl può far sembrare di essere dalle parti del gothic metal, ma qui di gotico non c’è nulla. L’idea di fondo è dare vita alle ambientazioni del mondo di Tolkien, e l’obiettivo viene perseguito con un metal atmosferico e intimamente finlandese che varia tra atmosfere lente e rarefatte, andamenti marziali e improvvisi indurimenti con doppio pedale, growl ed episodiche accelerazioni. Non ho idea di come possa essere approcciarsi a Where the Shadows Lie per la prima volta nel 2022, dato che questo tipo di approccio è difficilmente riscontrabile adesso negli stessi termini, ma nel 2002 era tutto molto credibile, quantomeno per me.
Il disco è acerbo, se paragonato ai successivi. Non tutti, perché personalmente non sono mai riuscito a entrare nelle corde del quarto Evernight e del quinto The Last Alliance, ma degli altri sì. Questa sua acerbità però gli dona il fascino del diamante grezzo, acuito anche dal flebile vocino di Kaisa Jouhki, che nulla aggiunge al tutto e quasi rimane in sottofondo, nonostante su di lei sia addossata la grande responsabilità di interpretare i momenti più elfici e intimisti. C’è da dire che lei aveva altre doti, diciamo così. Il disco è anche abbastanza discontinuo, ma contiene comunque cose splendide come Journey to Undying Lands, che riassume gran parte della loro poetica, o ancora The Grey Wizard, Raging Goblin o Fangorn. Poi vabbè, ho scritto tutto ‘sto pippone sapendo benissimo che alla maggior parte di voi i Battlelore faranno ribrezzo, ma io ci ho provato comunque. Come nota di colore, fu a causa loro che gli Alestorm cambiarono nome quando firmarono per la Napalm, dato che prima si chiamavano Battleheart. (barg)
I primi tre (con l’apice nel secondo “Sword’s Song”) sono degni di nota. Dal quarto album non mi hanno più preso, se non a sbadigli.
"Mi piace""Mi piace"