Si fa presto a dire NWOTHM: una scorpacciata di nuove uscite

Si sono rifatti vivi i BLAZON RITE che quasi due anni fa ci erano piaciuti, ma senza entusiasmi. Gli americani non hanno perso tempo e il secondo album, Wild Rites and Ancient Songs, un progresso rispetto al precedente lo marca eccome. La formula è assolutamente la stessa, così come la dominanza del vocione di Johnny Halladay, che non è esattamente il punto forte dei nostri. Che però oggi suonano meglio, più seri, meno baldanzosi. Ne guadagna l’ascolto, anche se quest’anno, lo sapete, la partita della NWOTHM più epica si sta già giocando a livelli piuttosto elevati e i Blazon Rite non riescono a stare al passo. Bel disco, però, sicuro passo in avanti rispetto al primo. Formula identica, semplice, Iron Maiden in versione D&D, produzione un tantino migliore (quella del primo era già buona). Dei pezzi sorprende piacevolmente forse uno solo, ma a me piace parecchio. È la traccia omonima, un mid tempo circolare che mi ricorda tanto la proposta un po’ più doom dei Mourn the Light. E pure l’ultima, The Coming Tide of Yule, conclude l’ascolto per bene. A conti fatti, pure se non definitivamente sedotto, c’è da restare ottimisti per questo quintetto di Philadelphia in fissa per un medioevo un po’ fantasy, ma oggi meno di gommapiuma rispetto a ieri. Ci rivediamo al prossimo giro.
Visto che li abbiamo nominati, i MOURN THE LIGHT, recuperiamo in extremis anche il loro Ep di fine ’22, intitolato Stare Into the Face of Death, che magari Suffer, Then We’re Gone non era piaciuto solo a me. Un po’ indecisi ora tra doom, metallo classico e suoni anni ’90, i nuovi ventisette minuti non sono esattamente imprescindibili. Non sono dei primi della classe in scrittura, però basano tutto sulla forma canzone e questo fa loro onore. Io li preferisco nei panni di una versione più leggera del metal southern. Qui quella strada La percorrono in It All Comes Down. Un buon pezzo. L’heavy viene portato avanti, appunto, da Heavy Metal Destiny e Face of Death. Meglio la prima. Uscita interlocutoria.
E tornano immancabilmente come ogni anno (o pure di più) anche i californiani HAUNT. Contando solo gli album, siamo al nono del 2018. L’altro gruppo di Trevor William Church, i Beastmaker (pure se con 10 Ep nel solo 2018) non regge il passo della formazione sorella dedita alla NWOTHM più malinconica e adolescenziale. Golden Arm è l’album di oggi, maggio 2023. Da dire c’è che sicuramente la produzione è diventata un po’ più brillante, la scrittura forse un po’ meno. Ascoltarli resta comunque un’occupazione piacevole. Il nuovo album è più teso e meno arreso del precedente dell’anno scorso, ma le coordinate generali sono cristallizzate. Scegliere quale disco degli Haunt ascoltare, se si ha voglia di ascoltarne uno, può sembrare un’attività del tutto superflua, ma io andrei comunque su Beautiful Distraction che aveva due o tre numeri pop metal superbi. Golden Arm (solita copertina stupenda) ha solo canzoni buone e un po’ annoia. Una sorpresa c’è, però. È l’ultimo brano, dai suoni metallici e moderni molto più del resto della collezione. Si prepara una svolta?
Esordisce invece (dopo una manciata di singoli) il duo svedese CENTURY. Duo dedito al primissimo heavy power asciutto, epico e muscolare del leggendari compatrioti Heavy Load. The Conquest of Time è un album filologicamente ineccepibile, composto di nove assalti tutti più o meno uguali. Alcuni però eccellono, come The Fighting Eagle in apertura e Master of Hell, guardacaso i singoli che ne hanno anticipato l’uscita. Media comunque qualitativamente buona, in generale, se si decide di tuffarsi in queste sonorità senza cercare nulla, ma proprio nulla, che non sia storicamente esatto. D’altronde basta valutare l’iconoclastia dei due, che pure per le foto di gruppo diffondono scatti sgranati da pellicola in notturna degni di una fanzine fotocopiata. Monotone le linee vocali, comunque. Speriamo varino un po’ il ventaglio stilistico o lavorino più sulle dinamiche, al prossimo album. Buon esordio, comunque. Non facciamo i difficili.
Belli dediti al meglio degli ’80 pure i BLOOD STAR di Salt Lake City. Già, Salt Lake City, e infatti dietro c’è Jamison Palmer, uno dei chitarristi dei Visigoth (l’altro, Leland Campana, pure piuttosto attivo, lo abbiamo incontrato di recente). Piuttosto divertente questo First Sighting, tra heavy power americano e hard rock stradaiolo. Provvede a plasmare il carattere la voce di Madeline Smith, senza acuti e svenevolezze, anzi, con un tono ruvido e combattivo. Non so se ricordate Tower e Shadowland di cui abbiamo parlato nel 2021. I Blood Star starebbero benissimo sullo stesso palco con quei due nomi. Hanno meno foga, ma per contro alcuni numeri radiofonici ben compiuti. Parecchi brani sarebbero singoli credibili, di quelli che negli anni ’80 avrebbero avuto più di una chance per essere di successo. Prendetene una, che so, Cold Moon, e ditemi se non è così. Mainstream heavy/hard, magari fossimo stati in un’epoca differente. Oggi questa musica resta di nicchia, salvo che tu non abbia il culo di finire nella colonna sonora di una serie tv di successo. Comunque i Blood Star non sono per nulla vintage. Come nel caso dei Visigoth, hanno un suono moderno e senza artifici. Dal vivo devono essere ben divertenti.
I TANITH sono il gruppo di Russ Tippins dei Satan di Court in the Act. Il quale, lasciata Albione (ci piace credere per motivi sentimentali), intreccia a New York il suo destino (per lo meno quello artistico) con la bassista e cantante Cindy Maynard. Voyage è il secondo album e la musica che contiene è deliziosa. Due tendenze principali: una NWOBHM un po’ parrocchiale (l’iniziale Snow Tiger) e l’hard easy listening e oscuro dei Blue Öyster Cult (l’intro di Olympus by Dawn pare preso da Agents of Fortune). Tra I due poli, sfumature prog come le intenderebbero i Wishbone Ash e qualche legittima ruffianata AOR. Una Mother of Exile attacca come i Priest nell’80, ma poi resta su territori soft. Flame è il singolo, organo e chitarre acustiche tipo Uriah Heep, ma una intenzione maggiore e serena, ottimista. Meriterebbe una posizione in classifica fossimo nel 1976. Credo che buona parte del disco sia al di là della demarcazione tra metal e altro, ma questo non vi deve spaventare. A patto che siate animi gentili. (Lorenzo Centini)
Quanto materiale, mi metto sotto.
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Concordo con il Centini: il nuovo dei Blazon Rite è già uno step più avanti rispetto al precedente, insieme a quello dei Tanith (sempre una gran classe, nulla da dire) sta facendo avanti e indietro dallo stereo da un mesetto…
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io invece spezzo una lancia in favore degli Haunt. Come al solito, gran disco, sarà che mi sento sempre in sintonia con il loro mood malinconico… sogno un loro disco tutto suonato con le synth guitars stile somewhere in time.
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