R.I.P. Frank Kozik [1962 – 2023]

Notizia triste per davvero quella della scomparsa di Frank Kozik, una delle figure a cui in buona parte si deve la diffusione dello stoner rock nei primi anni ’90.

Nato in Spagna e trasferitosi in California da ragazzino, dopo una breve esperienza nell’esercito ha lavorato come grafico e in pubblicità, alternando lavori per multinazionali (suoi alcuni dei più noti spot della marca col baffo) alla sua mai sopita passione per il rock and roll underground. Uno stile estremamente riconoscibile (fumetti e immagini disturbanti, font da modernariato e saturazione dei colori, cartoni stile Hanna-Barbera e tecniche da pop art) lo rende uno degli artisti prediletti per la contemporanea scena emergente punk e indie per la quale crea innumerevoli poster e locandine; non stupisce che, quando poi il genere riceverà maggiore esposizione, metterà a referto anche lavori su major come Houdini dei Melvins o Americana degli Offspring.

Quello che però per quanto ci riguarda è stato il suo contributo più grande è la creazione della Man’s Ruin Records, con la quale dal 1994 ha contribuito alla diffusione e definizione dello stoner come suono e della sua iconografia di riferimento. In un periodo in cui il cd era il formato dominante, la Man’s Ruin ritira fuori l’obsoleto vinile (in formato 10 pollici per di più), riportando l’oggetto e la sua bellezza al centro del discorso, anticipando così di un paio di decenni l’odierna inflazione di edizioni speciali e vinili colorati.

Nel catalogo dell’etichetta compaiono alcune tra le cose più esaltanti mai concepite dalla mente umana (tra cui Unida o le prime Desert Sessions… quelle su cui la mia gatta con astuzia felina e precisione chirurgica decise di pisciare sopra qualche anno fa). Una discografia impressionante fatta di uscite clamorose in cui bellezza di contenuto e contenitore si equivalgono (Nebula, Fatso Jetson, Kyuss e Gamma Ray – no, Kai Hansen non c’entra). Il tutto finché l’ideologia DIY alla base del tutto mostrerà i suoi limiti, con conseguente fallimento nel 2001. Ma non tutto quello che muore è morto, l’esperienza ispirerà alcuni quasi-cloni contemporanei (Small Stone, Meteorcity), e in qualche maniera tutte le label che oggi si dedicano al genere (dalla nostra Heavy Psych alla Riding Easy) devono qualcosa a Frank Kozik. Un gigante vero, ci mancherà. (Stefano Greco)

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