Avere vent’anni: DARKTHRONE – Hate Them

Parlando dell’ultimo Darkthrone mi ero soffermato su quanto il duo norvegese, tirando fuori un album ogni due anni grossomodo sempre sulle stesse coordinate, quantomeno concettuali, avesse finito per stufare. Ora ci ritroviamo a parlare di Hate Them, che fu il primo disco dei nuovi Darkthrone, quello che si pone dopo il periodo classico e la breve fase intermedia composta da Ravishing Grimness e Plaguewielder. È bene chiarire che nulla di ciò che è stato detto a proposito di Astral Fortress vale per Hate Them, anzi per certi versi si può fare un discorso opposto: nel 2003 io impazzii davvero per questo disco, che peraltro mi sembrava non solo una boccata d’aria fresca ma anche una buona base di partenza per una nuova fase della loro discografia. Per quanto riguarda quest’ultima parte, in verità, non solo avevo ragione ma ne avevo pure troppa, vista a posteriori.
Si capiva subito che questa fosse una nuova fase dei Darkthrone perché Hate Them manca completamente sia della cupezza dei primi dischi sia della composizione ragionata di Plaguewielder; per inquadrare il suo approccio si potrebbe utilizzare il titolo del successivo album, cioè sardonic wrath, rabbia sardonica. Un recupero delle influenze ottantiane interpretate con attitudine punk: questo il nocciolo dei Darkthrone dal 2003 in poi. Certo, entrambi gli elementi erano in un certo senso presenti anche in Under a Funeral Moon, per dire, però quello non solo era un disco stilisticamente innovativo ma era inconcepibile senza la nota attitudine grim & frostbitten da passeggiata nel bosco ululando in screaming alla luna. Qui invece non solo si è completamente rivolti all’indietro, musicalmente parlando, ma l’atteggiamento di Fenriz e Nocturno Culto non ha davvero nulla di minaccioso. E soprattutto qui non si sente più il Male. Hate Them inaugura la stagione dei dischi dei Darkthrone che vanno sentiti in macchina tamburellando il volante per seguire il ritmo: buona parte dei pezzi segue grossomodo il canovaccio della cavalcata punkettona col tupatupa, e il resto è comunque ritmato, se mi passate il termine.
Hate Them ha il tiro, e ce l’ha anche in un brano come Rust, posto in apertura, strutturato su una progressione ritmica assai evocativa. Rust, peraltro, per quanto mi riguarda è il pezzo migliore del disco; e quel riff iniziale, con la batteria che entra delicatamente e accelera pian piano, è probabilmente tra le due-tre cose migliori fatte dai Darkthrone negli ultimi vent’anni. Ma è tutto l’album che scorre con una facilità impressionante, tanto che alla fine dei quaranta minuti scarsi è molto difficile che non ti venga di rimetterlo daccapo. Sarà anche l’effetto novità, la freschezza di una pagina bianca appena aperta, sarà che Fenriz e Nocturno Culto all’epoca avevano più idee, non so: ma Hate Them resta un bel discone a distanza di vent’anni. Del resto è vero che il gioco è bello quando dura poco, ma all’epoca loro avevano appena cominciato. (barg)
All’epoca non mi convinse molto, devo dire che con il tempo l’ho rivalutato parecchio. Magari tornassero a fare roba simile invece del doom per anziani
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per me un discone
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