Perdersi nella foresta e non tornare mai più: NOČNÍ MŮRA – st

Oggi sono qua per parlarvi di un gioiellino appena uscito che è già nella mia personale playlist di questo duemilaventitré. Ascoltatemi bene, perché una volta premuto il tasto play mi ringrazierete.

I Noční Můra sono una sconosciuta band francese, di cui nulla si sa e nulla nemmeno si trova sulla rete. Tutto quello che si può reperire, a riprova della loro esistenza, sono sei canzoni dalla durata media piuttosto elevata ma che dimostrano i fatti, senza mascherate o trovate spettacolari. Di spettacolare qua c’è solo la loro musica. Ma andiamo nel’ordine.

Coerentemente con la loro natura di veri misantropi non vi è traccia della band sui social, solo una scarna pagina Bandcamp con il loro album omonimo disponibile in streaming, che è poi tutto quello di cui abbiamo bisogno. Deve essere infatti la musica a parlare. Nel loro caso lo fa splendidamente, e questo Noční Můra è un viaggio che va intrapreso con calma, la cui durata è di un’ora esatta, che riesce nello scopo di ipnotizzarvi e rapirvi tramite giri di chitarra suggestivi e umana disperazione, come quando ci si perde in una immensa selva senza punti di riferimento e sempre meno viveri. Non è roba da fighette.

I sei pezzi sono tutti spettacolari e struggenti. Loathe, per esempio, che si apre cadenzata come un tetra marcia funebre tra i fitti tronchi di betulle di una nebbiosa foresta e prosegue con uno sfogo che però ha sempre il carattere etereo della nebbia che ti avvolge e delle gocce di un’umidità che ti penetra fin nelle ossa, gelandoti anche l’anima. Sempre con echi, sempre con riverberi, come da copione, ma davvero ispirati nel riffing e nelle atmosfere e con degli accenti pesantissimi di cupo ed esistenziale doom, come nella conclusiva e lunghissima Reject. Atmospheric post-qualcosa black metal, è così che si chiama d’altra parte. Un genere iperinflazionato ai giorni nostri e che risulta sia facile che difficile da fare. Facile perchè chiunque può utilizzarne i canovacci imposti anni fa dai cascadici e da tutta quella gente. Difficile per via del fatto che creare un’emozione al di là dell’essere abili strumentisti non è cosa da tutti, e questo piccolo grande gruppo bordolese dal nome slavo ci riesce alla grande, pur non avendo inventato nulla di nulla.

Di loro non si sa niente. Non si sa quando si sono formati né chi ci sia dietro al progetto, ma dategli un ascolto se vi volete bene, e speriamo che non si perdano nella loro stessa misantropia ma che continuino a sfornare il frutto della loro ispirazione, possibilmente attirando l’attenzione, un giorno non troppo distante, di qualche distributore serio. (Piero Tola)

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