Avere vent’anni: LULLACRY – Crucify my Heart

Questo disco è una bomba. So che non mi crederete: del resto stiamo parlando dei cazzo di Lullacry ed è perfettamente comprensibile che possiate non prendermi sul serio. Certe volte penso che solo Luca Arioli può capirmi, che Francesco Totti lo abbia in gloria. Eppure è così: Crucify my Heart è una bomba. E non una bombetta normale, un minicicciolo, un raudo Zeus o uno di quei palloni di Maradona con cui a Napoli si festeggia l’anno nuovo facendo zumpare asfalto e saracinesche. No, Crucify my Heart è una bomba atomica, di quelle che non lasciano scampo per chilometri. È impossibile non mettersi a battere il piedino con uno qualsiasi degli undici pezzi del disco, complicatissimo non iniziare a canticchiare già dal primo ritornello, obbligatorio rimettere daccapo il disco una volta finito o quantomeno entrare in fissa con qualcuna delle canzoni già al primo ascolto.

Certo, non mi crederete. E io, ripeto, capisco: guardate la foto e vedete quattro finlandesi standard che attorniano una tipa non troppo vestita. Non proprio sinonimo di qualità, e le cose non vanno meglio se dovessi descrivere questo disco a chi non lo ha mai sentito: rock metallizzato ultramelodico pienamente in linea con quello che andava in Finlandia e in Svezia in quegli anni, diciamo tra Sentenced e Hardcore Superstar, con sonorità linde e pinte e sorretto dalla voce leccatissima di Tanja Lainio, una che di sicuro non aveva tonalità enfatiche, operistiche o che so io ma che d’altro canto a sporcare un po’ il timbro non ci pensava proprio. Se siete riusciti a leggere fin qua senza chiudere tutto bestemmiando vi ringrazio per la fiducia e ricambio spiegandovi finalmente perché questo disco spacca così tanto.

Il motivo è semplice: undici pezzi perfetti. Semplici, diretti, lineari, puliti. Quarantatré minuti e neanche un momento sottotono. Funziona tutto, i musicisti fanno un lavoro essenziale ma curato in ogni dettaglio e la cantante sembra presa apposta per un disco del genere, al punto che, nonostante quella voce razionalmente non proprio irresistibile, non te lo immagineresti cantato da nessun altro. Non c’è nulla che non vada: persino il suono, bello pieno, pulito e in qualche modo persino grasso, è quello giusto per valorizzare perfettamente ogni aspetto della musica. Anche gli assoli, brevi, semplici e con gran dispiego di wah-wah, sono perfetti per il contesto. Quindi Crucify my Heart si configura come uno di quei dischi concettualmente sbagliati ma che, per una fortunata quanto sapiente concatenazione di aspetti, è incredibilmente uscito benissimo. Come quei meme che recitano cose tipo la struttura fisica del calabrone lo rende inadatto al volo ma lui se ne frega e vola lo stesso. Uguale: una descrizione oggettiva dello stile dei Lullacry farebbe scappare chiunque a gambe levate, ma loro se ne fregano e spaccano lo stesso. Poi capisco che è nel concetto stesso di disco feticcio il fatto che non debba piacere alla maggioranza delle persone, però sono sicuro che almeno uno su cinque di voi rimarrebbe folgorato dalla incredibile perfezione di Crucify my Heart. Poi se vorrete ascoltarlo in solitudine perché ve ne vergognate, lo capisco. Ma un’occasione se la merita comunque. (barg)

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