Avere vent’anni: ZWAN – Mary Star of the Sea

Hal: What’s the matter with you boys? Don’t you realize you could get killed?

Reese: Dad, I can’t die.

Hal: What?

Reese: I’m seventeen.

Hal: And so you can’t die?

Reese: I just don’t see it happening.

(Malcolm in The Middle, S07E02 – Health Insurance)

La prima cosa che mi viene in mente quando penso all’unico album pubblicato dagli Zwan è una conversazione avuta con il vostro affezionatissimo Trainspotting (che ovviamente non ricorderà) vent’anni fa. Era appena uscito il video di Honestly e, sulle scale dell’università, gli chiesi cosa ne pensava e la risposta fu lapidaria: “No, compà, fa cacare. Cioè, ci sta Billy Corgan che ride! Billy Corgan! Non si può proprio vedere sta cosa”. In effetti, essendo Corgan uno dei massimi esponenti dello spleen post adolescenziale, la sua visione in versione “happyshinypeople” mentre canta brani leggerini era un qualcosa di sorprendente per l’epoca. Le reazioni negative, comunque, furono tantissime, ma io continuo a pensarla diversamente.

Pochissimo tempo fa, come sanno i miei cari sette lettori e mezzo, ho scritto un pezzo sugli ultimi vent’anni dei Billy Corgan e degli Smashing Pumpkins, cercando di mettere da parte l’amore del fan e restando il più possibile obiettivo. Quando ho parlato del disco degli Zwan, che non avevo risentito per l’occasione, non avevo fatto i conti con l’imminente ventennale e non pensavo che ne avrei riparlato in così poco tempo.

Anche dopo averlo riascoltato, se guardiamo ad un dato puramente oggettivo, confermo quanto sostenuto: all’epoca venne accolto come l’anticristo, ma si tratta di un disco che, ancora oggi, risulta essere gradevole, seppur non indimenticabile. Sicuramente poco, in considerazione che si trattava di un gruppo formato da Jimmy Chamberlin, Billy Corgan, Paz Lenchantin, David Pajo e Matt Sweeney, ma è comunque un lavoro pop rock con dei singoli riusciti (Honestly la canticchio spesso e volentieri) e alcuni pezzi convincenti (Declarations of Faith, El Sol, la titletrack), pur se troppo lungo e con alcuni riempitivi. Insomma, carino, ma si poteva e si doveva fare di più.

Terminata la doverosa premessa sul giudizio su Mary Star of the Sea, devo dire che questo ascolto dopo tantissimo tempo mi ha fatto uno strano effetto madeleine che mi ha trasmesso molta nostalgia.

Ascoltate l’arpeggio iniziale di Lyric, quasi un jingle-jangle che si trasforma subito in una di quelle melodie perfette da heavy rotation MTV fine ‘90/primi 2000. Avete capito, no? Quella roba lì, quel pop quasi à la  Sixpence None The Richer, Lene Marlin di Sitting Down Here, la Natalie Imbruglia più solare. Quella roba leggerissima, in tutti i sensi, che quando passa alla radio fa venire un po’ di nostalgia a quelli di una certa generazione e di certo (o non solo) non per grandi meriti musicali, ma perché porta alla mente un periodo, un’età di passaggio, ma ancora di piena spensieratezza ed entusiasmo. Questo pop così sciocchino è un po’ l’equivalente dell’ingenuità di Reese di Malcolm in the Middle (una delle comedy migliori di sempre con un FENOMENALE Bryan Cranston) che ho citato in apertura di questo articolo: talmente leggero e senza pretese da essere piacevolissimo, anche di fronte ai suoi evidenti limiti.

Corgan aveva fatto di meglio?
Certo!
Ci si aspettava di più?
Assolutamente!
E allora?
E allora ho diciassette anni, ho tutta la vita davanti e che cosa vuoi che me ne freghi. (L’Azzeccagarbugli)

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