Esaltazione e mestizia con THY LISTLESS HEART – Pilgrims on the Path of No Return

Dicembre è un mese di merda. Sarà che ho un conto in sospeso, perché è il mese in cui sono nato. Certi anni non gliel’ho perdonato. Ma comunque resta sempre un periodo di merda, con la gente falsa, le feste aziendali, i bilanci di ogni natura. Avete visto, ci casco pure io. Mi sono ammazzato per recuperare e scrivere di una caterva di dischi. Non mi sono mica fermato a pensare, o godermene certi che avrebbero meritato. Ero incappato pure in questo disco qui, a nome Thy Listless Heart, che poi dietro c’è una persona sola, Simon Bibby. Un inglese, passato in band thrash e doom, dalle foto lo direste abbondantemente sopra la soglia degli ‘anta, ma qui esordisce con un progetto tutto nuovo, tutto in proprio. Nel senso che suona tutto lui. E niente, Pilgrims on the Path of No Return è uscito in novembre, ma intanto che l’ho incontrato io era già dicembre inoltrato. Mentre appunto spulciavo le liste e gli appunti lasciati indietro. Quindi l’ho messo da parte per occuparmene con più calma. Sembrava richiederlo, un disco così. Lento come ritmo e come assimilazione.

 

Comincia però con un brano, As the Light Fades, che è semplicemente stupendo, te ne rendi conto subito. Avete presente, non capiterà spesso (anzi), quando una canzone vi distoglie da quello che state facendo, quando ha una forza tale da spazzare tutto il contesto. Quando la musica torna a non essere contesto. As the Light Fades è una di quelle canzoni lì. Una grazia insomma. Ha una potenza espressiva incredibile, così drammatica che se non vi viene la pelle d’oca vuol dire che siete persone aride, inumane, di quelle che stanno appresso ai bilanci, e io non voglio avere nulla a che fare con voi. Se volete le statistiche, ve lo dico: con ogni probabilità As the Light Fades è la canzone migliore che abbia sentito nel 2022. Sì, ed è quasi incredibile che ti trasmetta allo stesso tempo un tale senso di esaltazione e mestizia. Già, mestizia, perché non vi ho ancora detto che Thy Listless Heart suona un doom atmosferico, anche piuttosto vicino a certo gotico anni ’90. Per cercare di infinocchiare il Barg, gliel’avevo descritto come degli Atlantean Kodex alle prese col repertorio degli Anathema. Bluffavo, tanto valeva gli dicessi che erano i Freedom Call che facevano cover dei Manowar. Ok, bluff, ma manco troppo. Perché se la dimensione è comunque epica e millenaristica (se l’etichetta poi si chiama Hammerheart qualcosa vorrà pur dire) l’umore è arreso, disperato. Se vogliamo, siamo un po’ dalle parti degli Swallow the Sun (solo gente allegra). Poi As the Light Fades ha anche quei synth atmosferici. Insomma è un brano magnifico, potrei continuare a ripeterlo ancora per dieci cartelle, se servisse a convincervi.

Però magari è il caso che vi parli anche del resto del disco. Il problema è che il resto viene dopo quella canzone lì. L’impressione è che la canzone di apertura sia la manifestazione di un dramma inatteso, potentissimo, e il resto del disco sia la reazione, il fare i conti a partire dal giorno dopo col dolore. Di fatto la tensione viene smorzata da qualche intro e interludio di troppo, con pianoforti, flauti, voci arrese, atmosfere meste. Così, quando si riparte con le sonorità più potenti, ve lo dico, magari vi siete distratti. A me in fondo è successo così le prime volte che ho ascoltato Pilgrims on the Path of No Return e mi ero convinto che in fondo fosse un disco meno significativo del suo stesso incipit. Davvero, come dicevo, vorrei ci fossero meno parentesi atmosferiche. Davvero l’elaborazione del lutto toglie muscoli ed urgenza alle tracce che seguono. Ma ci dona altre canzoni valide. Yearning, anche “singolo” (ne vedete il video qui sotto), Confessions che nei riff della strofa ha qualcosa dei primi (non primissimi) Gathering. Anche nel ritornello, in verità, ma chiaramente non c’è mica Anneke (sempre sia lodata). Per contro, c’è un controcanto growl e un manto di synth. La conclusiva, The Search for Meaning, recupera un po’ di epica, ma perché coi suoi 14 minuti di durata (solo un pelo estenuanti) prova a mettere insieme tutte le anime. Anche quella più celtica e neofolk di When the Spirit Departs the Body. Che però non è che mi abbia fatto impazzire. Il disco, insomma, è altalenante: se la media dei brani si avvicinasse alla stupenda traccia di apertura (e anche se la tensione fosse più costante) staremmo parlando di un esordio fantastico, di quelli che ti segnano per un bel po’. Invece è “solo” un esordio notevole, se vi piacciono le coordinate che ho onorato a descrivere e se non vi spaventano tre quarti d’ora di mestizia. C’è da sperare che Simon Bibby, su queste basi, possa sfornare nel prossimo futuro qualche disco veramente emozionante da inizio a fine. Da seguire. (Lorenzo Centini)

2 commenti

  • Me la son proprio voluta ascoltare, questa As The Light Fades, ed è una misera canzonetta qualunque. Centini cambia mestiere.

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  • Disco stupendo, una sorpresa incredibile. Pensavo fosse un super gruppo dei vari Cavanagh, Stainthorpe con Damian Wilson alla voce, poi vedo che è una persona sola. Grandioso.

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